
Hai mai avuto un problema? Ok, così la domanda può apparire un tantino retorica e anche provocatoria. Sì, certo, di problemi ne abbiamo tutti sempre. Però c’è genere e genere di difficoltà. Ci sono quelle che si risolvono quasi da sole, senza dover pensare molto, perché attiviamo dei meccanismi pressoché automatici. E poi ci sono quelle più complesse, persino ostiche, in cui non c’è istinto che tenga. Ti obbligano a fermarti, riflettere, capire.
La domanda, quindi, diventa: come lo hai risolto? Perché questo fa tutta la differenza del mondo. Esiste una tecnica, il problem solving, che ci viene in aiuto quando la situazione si fa complicata. Anzi, sarebbe meglio dire: delle tecniche. Perché, nel tempo, le modalità con cui realizzare questo compito si sono andate affinando, differenziando, specializzando. E ora abbiamo una miriade di metodi. Che, però, fanno capo sempre ad alcuni principi base, magari modificati per applicarsi meglio a seconda dei contesti. E allora vediamo di cosa si tratta.
Cos’è il problem solving
Problem solving significa letteralmente ‘risoluzione di problemi’, cioè l’analisi e la risposta ad una situazione critica, tendenzialmente nuova.
Il problem solving è una competenza trasversale considerata ormai una delle capacità chiave per i prossimi anni; ancora di più dopo i cambiamenti che la pandemia ci ha posto. Ma in cosa consiste esattamente?
Le difficoltà sono esperienza comune; nella nostra vita, ne affrontiamo continuamente. Ciascuno di noi, però, risponde in maniera differente. C’è chi si attiva, chi si demoralizza. Chi va per prove ed errori, chi cerca di sviluppare una strategia. Qualcuno si affida a metodi logico-razionali, altri provano a esplorare soluzioni in modo creativo.
Il mondo di oggi è sempre più complesso e questo porta, inevitabilmente, a nuove sfide. Per questo, le competenze di problem solving sono una risorsa importante per noi nella vita di tutti i giorni e sempre più ricercate in ambito lavorativo. Tanto più che la tecnologia fa passi da gigante e, un po’ alla volta, sostituirà l’uomo nei compiti più semplici, faticosi e ripetitivi. Così, sempre più, il nostro apporto si baserà su ciò che ci distingue dagli altri animali. Creatività, intuito, intelligenza emotiva. Che, al momento, risultano ancora largamente deficitari, se non inesistenti, nella tecnologia e nell’intelligenza artificiale; sono le caratteristiche per cui siamo ancora insostituibili.
Acquisire soft skills, fra cui il problem solving, sarà sempre più necessario e richiesto in futuro.
I passi del problem solving
Vediamo, quindi, come si struttura una strategia di risoluzione dei problemi. Come ho detto, le tecniche sono variegate. Fra gli anni ’70 e ’80 c’è stato un vero boom di metodi i quali, alla fine, hanno portato aiuto, ma anche un po’ di confusione.
Per questo, più che riempire l’articolo con un elenco di tecniche differenti, che poi in vari punti si assomigliano molto, presentando solo sfumature specifiche per l’ambiente in cui adattarlo, ho preferito fare una scelta diversa. Cioè, rappresentare gli aspetti chiave, i principi di base del metodo. Questi possono già di per sé essere usati come vere tappe in sequenza da seguire che, in modo più o meno variato, si ripresentano nei vari format.
Non solo i differenti step possono variare da un caso all’altro; esistono anche una miriade di metodi che, nelle varie fasi, possono essere usati per raggiungere l’obiettivo di quello specifico passaggio. Alcuni agevolano l’analisi, altri stimolano le soluzioni creative, altri ancora la scelta della risposta più adatta fra quelle emerse. Anche in questo caso, non posso fare una rassegna completa, ma ti farò solo qualche esempio fra i più noti.
Per avere una visione completa del processo di porsi e risolvere problemi, i principi – o, se vuoi, gli step – principali sono i seguenti:
- Problem finding
- Definizione del problema
- Generazione di alternative
- Valutazione e selezione
- Implementazione
Vediamoli, quindi, più nello specifico.
Problem finding
Se conosci l’inglese, hai già capito che, in questo passo, si tratta di…trovare un problema! Già, è una situazione controintuitiva. Normalmente, siamo ben felici quando le difficoltà non si presentano, non si vede perché dovremmo andarcele a cercare. Questa fase, per chi vuol fare innovazione, è quasi la più importante.
È una visione molto orientale e poco occidentale. Da noi si rincorrono le criticità, cercando di trovare soluzioni solo quando arrivano. Il più delle volte, quindi, ciò significa mettere delle toppe e cercare di chiudere in fretta e con dispendio di costi e di tempi quello che avrebbe potuto essere valutato con calma, coi ragionamenti e le scelte ideali. Di fatto, anticipando i tempi nel trovare risposte nuove e migliori o, quantomeno, nel ridurre soldi spesi per gestire difficoltà evitabili.
Quindi, questo è il momento in cui si trova una criticità che altri non avevano ancora visto o un bisogno latente e lo si riformula come problema da sottoporre ad analisi. Se vuoi innovare e arrivare prima degli altri o, anche solo, raggiungere (e dare al cliente) l’eccellenza, faresti bene a fermarti ogni tanto e chiederti se qualcosa dei tuoi prodotti/servizi o dei processi che segui possa essere migliorato. Osserva e poniti le domande dal punto di vista del cliente.
E se ancora pensi che non abbia senso, sappi che da una ricerca del 1991 emerse che il problem finding era il miglior predittore delle attività creative realizzate. Come a dire, più sei bravo a porti i problemi, migliore è la qualità delle soluzioni che trovi.
Definizione del problema
Bene, ora che hai trovato il tuo focus (o che era già dato dalla situazione), arriva il momento di riflettere. No, non devi ancora trovare la soluzione. Ma come?!
Già, prima di andare all’arrembaggio nel tentare di sciogliere i nodi della difficoltà che ci troviamo davanti, bisogna assolutamente identificare per bene il problema e capirne le cause.
Infatti, uno degli errori più comuni di fronte ad un dilemma da risolvere è cercare di arrivare subito ad una risposta che ci tolga d’impaccio. In questo modo, ci dimentichiamo però di valutare con calma se abbiamo individuato correttamente il centro della criticità. E di capire, quando dobbiamo risolverla in gruppo, se tutti partiamo dalla stessa idea.
A volte definiamo a parole una situazione che consideriamo problematica, ma poi la confusione parte quando procediamo nel trovare soluzioni. E questo, spesso, perché dietro alla frase che identifica la nostra difficoltà, ciascuno dà un’interpretazione differente. Naturalmente, se la strategia parte in maniera sbagliata, difficilmente potrà proseguire bene. Quindi, prima di tutto, prendiamoci del tempo per capire esattamente da dove partiamo e se tutti siamo d’accordo. Meglio perdere tempo prima per guadagnare poi, filando via lisci. Per fare questo, è importante essere molto chiari e precisi, specificando anche, dove possibile, i comportamenti, le condizioni, i tempi e le circostanze che lo rendono un problema.
Quando la situazione è complessa, può essere utile anche scomporlo in parti più piccole, criticità secondarie, per capire come gestirle singolarmente.
Per andare alla radice, è bene identificarne le cause, capire perché si stia manifestando, quali siano i fattori coinvolti, i dati che puoi raccogliere per comprenderlo meglio e che possono esserti utili nel trovare una soluzione. E, ancora, svolgere un’analisi dell’evoluzione storica del problema, se è qualcosa di non recente nascita.
Generazione di alternative
Ora che hai tutti gli elementi sottomano, bisogna dare spazio alla creatività per trovare le soluzioni.
Non si deve cercare subito quella migliore, sottoponendo a critica tutto. È il momento per liberare la fantasia, non preoccuparsi dei giudizi, buttare sul tavolo quante più idee vengano in mente. Anche poco razionali, difficili da attuare. Questo perché persino in una proposta apparentemente folle, può esserci il nocciolo di un’intuizione, qualcosa di utilizzabile; naturalmente, dopo averne modificato i contorni e le caratteristiche. Ma, se la gettiamo via subito, rischiamo di perderci il centro di verità che contiene. Il momento di scartare, selezionare, modificare e valutare pro e contro sarà successivo.
A tal fine si possono utilizzate una serie di tecniche che liberino dai giudizi e stimolino il pensiero laterale, come il brainstorming o le mappe mentali. Uno dei rischi può essere, infatti, di fermarsi alla prima soluzione abbastanza soddisfacente o di analizzare subito vantaggi e svantaggi di ogni proposta. Questo bloccherebbe la fantasia e la generazione di idee, rischiando di farci perdere le soluzioni migliori.
Valutazione e selezione
A questo punto, si prendono in considerazione le soluzioni alternative ipotizzate e poi si seleziona quella che sembra più in linea con le aspettative di successo e di tolleranza del fallimento. In questa fase entra in gioco il decision making, cioè tutto quel processo cognitivo ed emozionale che permette di raggiungere una scelta finale.
Si possono utilizzare dei metodi che aiutino nella scelta, ad esempio definendo alcuni criteri che vanno rispettati. L’ideale sarebbe definirli prima, metterli da parte, e poi ritirarli fuori in questo step.
Ogni soluzione potrà essere valutata sulla base di quanto soddisfi tali criteri, su una scala da 1 a 5; verranno quindi scartate quelle proposte che hanno punteggi bassi o che non rispettino tutti i criteri essenziali, fino a determinare la migliore.
Implementazione
Scelta la soluzione, si deve realizzare un piano di attuazione ed eseguirlo. Anche in questo caso, si possono sfruttare metodologie che ci permettano di definire degli obiettivi da raggiungere, delle metriche per misurarli e capire quanto ci siamo avvicinati, dei sistemi di feedback per comprendere se e cosa vada modificato, ecc.
Infatti, l’azione non è data una volta per sempre, ma in molti casi è bene immaginare un sistema iterativo (come il DPCA o ciclo di Deming) che ci permetta di pianificare l’esecuzione, realizzarla, monitorare i risultati, valutare azioni di miglioramento. A questo punto, si riparte col processo, pianificando queste azioni di miglioramento, provandole sul campo, ecc. ecc.
Altre soft skills utili al problem solving
Nel caso del problem solving, vi sono altre competenze trasversali che interagiscono con esso e concorrono a rafforzare questa capacità: la consapevolezza, necessaria per acquisire una visione globale della questione in analisi e identificare il problema; la capacità di ascolto attivo, che aiuta ad individuare il problema anche attraverso l’attenzione a ciò che gli altri ci comunicano; la curiosità, che spinge a valutare più possibilità di soluzioni originali; la creatività, che permette di aggirare gli ostacoli trovando idee inaspettate; grinta e determinazione, per non abbattersi di fronte alle difficoltà sulla strada per la risoluzione.
Come? Le avete già sentite da qualche parte? 😉 Esatto, molte di queste sono state trattate in articoli precedenti legati alle competenze dell’intelligenza emotiva. Se ancora non li hai letti, ti metto di seguito i link agli articoli che ne parlano:
Intelligenza emotiva: una risorsa vincente per il lavoro
Intelligenza emotiva: le competenze personali
Intelligenza emotiva: le competenze essenziali per innovare
Intelligenza emotiva: l’empatia come fattore di successo
Intelligenza emotiva: le abilità sociali per influenzare gli altri
Intelligenza emotiva: le abilità sociali per creare legami
Strumenti
Come ti dicevo, ci sono alcuni strumenti che possono aiutare nelle varie fasi. Qui ti do solo qualche spunto sia per la vastità dei metodi sia perché molti sono anche specifici di alcuni settori. Ti parlo, quindi, di alcune tecniche che possono avere un impiego più vasto ed adattabile a seconda delle esigenze.
Il diagramma di Ishikawa
Molto utile nella fase di definizione del problema, è anche chiamato “diagramma causa-effetto” o “diagramma a lisca di pesce”. Prende il nome principale da Kaoro Ishikawa, colui che lo ideò. È una forma di rappresentazione logica e strutturata dei legami esistenti tra un effetto e le relative cause.
È una metodologia per identificare la causa principale al fine di esercitare azioni correttive. Si pone il problema su una linea orizzontale, poi si ordinano le possibili cause in varie categorie che si diramano dalla linea centrale in una forma, appunto, a lisca di pesce. Ciascuna causa, inoltre, può avere più sotto-cause che partono da ciascuna categoria identificata.
Fra i suoi vari nomi, c’è anche quello di “5 M”, perché nell’industria le categorie delle cause vengono identificate in Metodi, Manodopera, Misure, Macchinari, Milieu (ambiente).
Ovviamente, quando lo usiamo in altri contesti, le categorie possono variare. L’importante, però, è comprendere il senso e la struttura.
A seconda dell’ambiente in cui ci troviamo e del problema da risolvere, le cause e sottocause possono rivelare una struttura più o meno complessa. Questo diagramma ci aiuta, quindi, a scomporre situazioni intricate in immagini organizzate dove i nessi sono chiari.
In casi di difficoltà crescente, un buon modo per andare a fondo il più possibile, è anche quello dei “5 perché”.
I 5 perché
Nella tecnica dei 5 Whys (i 5 Perché), si parte da una prima definizione di ciò che ci disturba e ci si chiede il perché, da cosa nasca. Ogni volta, si risale indietro, grazie ad un altro perché (sino a cinque, ma nulla vieta, se ci accorgiamo che la catena delle cause è lunga, di procedere oltre) finché non si raggiunga una risposta esauriente che identifichiamo come l’origine assoluta della situazione che dobbiamo andare a sciogliere. Ovviamente, se lo usiamo insieme al diagramma di Ishikawa, è un metodo che ci aiuta a porre mano a mano le cause nella categoria adatta, così come a creare delle sottocategorie.
Brainstorming
È una tecnica che serve a liberare la creatività, permettendo di non sottostare ai giudizi. Come ho già avuto modo di spiegare, condivido la visione di De Bono, che chiarisce che questo metodo è più utile per togliere delle inibizioni (la paura del giudizio altrui) che per attivare realmente la creatività. Un conto è togliere un freno, un conto è spingere sull’acceleratore. Per quanto sia già una buona base, esistono tecniche più specifiche che aiutano a sviluppare concretamente il pensiero laterale.
In ogni caso, siccome in una riunione in cui si cercano delle soluzioni, molti si trattengono dal dare risposte per paura di essere valutati negativamente, l’idea di non dare spazio a critiche per lasciare libera la mente di buttare sul tavolo soluzioni anche un po’ assurde, aiuta a ridurre l’impatto del giudizio. Può essere utile, evidentemente, nella fase di generazione di alternative. Per quanto riguarda la tecnica, i pro e contro, leggi di più sul mio articolo in merito.
Mappe mentali
Ecco un altro metodo che puoi usare sia per liberare la creatività nella fase di generazione di alternative sia per iniziare a dare una struttura alla soluzione, una volta individuata quella giusta, e prima di agire. La sua forma è più libera, quindi potrebbe essere usata in una prima fase di organizzazione dell’idea per poi procedere con una vera e propria mappa concettuale, più logica e rigorosa.
Come si realizzino e quali siano i loro vantaggi l’ho spiegato in questo articolo, che ti invito a leggere, perché queste tecniche vanno benissimo anche in altre situazioni.
Questa rassegna non vuole assolutamente essere esaustiva; anzi, l’intento è più quello di fare una sintesi, distillare il centro delle tante tecniche di problem solving, così come di alcuni degli strumenti più frequentemente utilizzati per realizzarlo. Ma se il tema ti interessa, una volta compreso il senso generale, puoi approfondire sulle tante versioni esistenti.
Una di queste, più creativa, l’ho già trattata qui: creative problem solving: trovare soluzioni in modo creativo. Ti consiglio di dare un’occhiata. E, alla fine, metterti alla prova con uno dei problemi che ti assillano a cui ancora non hai trovato una soluzione. Più ti eserciti, più bravo e originale diventi.
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