
Chi, fra i miei lettori, è cresciuto, come me, a pane e cinema, ricorderà certamente uno dei più famosi film di Woody Allen: Zelig.
È la storia di “un camaleonte umano”, una persona con una capacità di adattamento talmente forte da essere patologica.
Leonard Zelig è affetto da una sconosciuta malattia che lo porta a modificare le sue sembianze in conseguenza del contesto che lo circonda.
Certo, Zelig è un tantino esagerato, ma la sua capacità oggi, nel contesto mutevole in cui viviamo, varrebbe oro.
I quozienti di intelligenza
Nel mondo complesso dei quozienti che testano differenti capacità ed espressioni di intelligenze di vario tipo, si sta facendo strada, infatti, il quoziente di adattabilità.
Abbiamo sentito parlare infinite volte del QI (quoziente intellettivo); negli ultimi decenni, la sua popolarità è stata scalzata dal più popolare QE (quoziente emotivo). Dopo la felice introduzione del concetto di intelligenza emotiva ad opera di Peter Salovey e John D. Mayer, la sua grande diffusione avvenne negli anni successivi grazie allo psicologo Daniel Goleman.
Mentre il QI analizza soprattutto l’intelligenza di tipo logico-matematico e verbale, il QE rappresenta l’aspetto correlato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni.
Entrambi sono importanti per una visione generale dell’intelligenza di una persona, poiché misurano capacità differenti ma egualmente importanti nella gestione delle situazioni di vita che ci accadono.
Tuttavia, l’intelligenza è una capacità molto sfaccettata ed è difficile (e poco sensato) rinchiuderla in una definizione ristretta, persino quando il confine è delimitato da due fattori così importanti.
Infatti, secondo lo psicologo Howard Gardner, la questione è più intricata e per valutare le capacità dell’essere umano, così complesso, bisogna prendere in considerazione più fattori; addirittura nove!
Le intelligenze multiple
Professore presso la Harvard University, Gardner è divenuto famoso grazie ai suoi studi che sostengono la teoria delle intelligenze multiple. Di fatto, ritiene limitativa e sbagliata l’idea che l’intelligenza sia un fattore unitario. Sarebbe, invece, una somma di sottofattori differenziati e diversamente integrati fra loro, ognuno di essi dedicato ad aspetti differenti dell’attività umana. Queste le nove forme di intelligenza:
- logico-matematica
- linguistica
- spaziale
- musicale
- cinestetica o procedurale
- interpersonale
- intrapersonale
- naturalistica
- filosofico-esistenziale
Basterebbe già questo elenco per ritenere di avere identificato ogni elemento possibile; tuttavia, nessuno di essi prende in considerazione la capacità di adattabilità che, presumibilmente, richiede anche alcune delle precedenti competenze.
Il quoziente di adattabilità (QA)
È il quoziente di adattabilità, infatti, secondo la Harvard Business Review, che fornisce, al giorno d’oggi, un vero vantaggio competitivo.
Perché? Perché nella nostra epoca il mondo cambia ad un ritmo impressionante. Addirittura si dice che le scuole di oggi preparino per attività che non ci saranno più quando gli studenti inizieranno a lavorare, soppiantate da altre che ancora devono essere create. È evidente che in una società che ha sviluppi tecnologici impressionanti e modifiche continue, chi sarà più bravo e veloce ad adattarsi avrà un vantaggio ineguagliabile.
E se, per certi versi, si può immaginare che un buon QI aiuti nello sviluppo dell’adattabilità, probabilmente in questa capacità entrano diverse altre caratteristiche. Ancora più importante è forse un buon QE; la capacità di sapersi sintonizzare ed entrare in armonia con gli altri è sicuramente indice di una buona capacità di adattamento. Ma, di certo, vi sono anche altre qualità che lo formano.
Poiché il mondo è in continuo mutamento, per avere successo è evidente che si debba essere fluidi e pronti ad accomodarsi agli eventi. Ciò, naturalmente, può anche essere fonte di stress: hai appena acquisito una nuova capacità, che già appare vecchia e devi essere pronto ad apprendere qualcosa di nuovo.
Per questo la mentalità giusta aiuta; se già non si è flessibili, si può impazzire.
Il QA: una competenza fissa o migliorabile?
La buona notizia, però, è che si può imparare a diventarlo o, almeno, a migliorare.
Anche perché – attenzione! – a differenza di una serie di competenze specialistiche che riguardano solo certi mestieri e settori, il QA è trasversale.
Può andare bene se insegni o se sei un imprenditore, se svolgi una professione o costruisci case. Non c’è infatti ambito che, attualmente, sia indenne dal perpetuo rinnovarsi.
Gli scienziati sembrano d’accordo sul fatto che il QA non sia fisso e possa essere sviluppato. Secondo la Teoria U di Otto Scharmer del MIT, vi sarebbero tre elementi che possono fornire una cornice a questa capacità: mantenere una mente aperta in modo da vedere il mondo con occhi sempre nuovi e rimanere aperto alle possibilità; avere il cuore aperto, cioè essere capace di vedere le situazioni mettendoti nei panni di un’altra persona; conservare una volontà aperta, lasciar perdere l’ego e la comfort zone per riuscire a gestire il disagio del contatto con lo sconosciuto.
Le caratteristiche fondamentali dell’adattabilità
Ma quali sono, in definitiva, gli elementi essenziali che lo rappresentano? Eccone qui 10:
- essere curiosi e diventare abili ad apprendere: ti aiuterà ad aprire la mente, a pensare creativamente, a sperimentare nuove idee, metodi e soluzioni;
- diventare bravi a determinare ciò che è rilevante e scartare la conoscenza obsoleta. Accerchiati da milioni di informazioni, diventa essenziale sapere selezionare quelle corrette;
- mostrarsi capaci di leggere i segnali ed agire di conseguenza: bisogna individuare da subito i segni di mutamento del contesto, comprenderne significato e direzione, e reagire velocemente;
- essere fluidi e flessibili: significa avere una struttura, ma con un sufficiente grado di adattabilità per riuscire ad introdurre cambiamenti e rispondere rapidamente. Vuol dire anche lasciar perdere la mania del controllo e incoraggiare autonomia e accettazione del rischio;
- essere capaci di sperimentare: qui viene in aiuto il metodo della prototipazione veloce e flessibile. Fondamentale non pretendere di raggiungere la perfezione, ma agire. Non bisogna muoversi d’impulso, ma certamente neanche aspettare di arrivare all’eccellenza prima di fare qualsiasi passo. Usa la regola di Pareto: il 20% degli sforzi determina l’80% dei risultati. Inizia a testare, provare e riaggiustare partendo da quel 20% più essenziale. L’ottimizzazione arriverà negli aggiustamenti successivi;
- tollerare il fallimento, vederne gli aspetti positivi. La paura di sbagliare, infatti, inibisce curiosità, flessibilità e azione, fondamentali per l’adattabilità, come abbiamo visto;
- imparare dai successi, per capire cosa funziona e può essere riadattato in altre situazioni. Ma ancora di più apprendere dai fallimenti, da ciò che non ha funzionato. È spesso attraverso l’errore che si impara, si cresce ci si adatta. Valutare ciò che non è andato e ciò che, invece, ha funzionato in mezzo a tanti insuccessi è fondamentale nel migliorare le performance future;
- condividere, una volta appreso, ciò che hai imparato dal successo e dai fallimenti. Questo ti aiuterà anche a creare rapporti di collaborazione e a sviluppare i punti successivi;
- imparare a mobilitare il potenziale delle persone: le gerarchie non hanno più senso, sono troppo rigide e non favoriscono un adattamento rapido ai mutamenti. Ci vogliono team agili e leadership condivisa;
- apprendere come gestire complessi sistemi multiazienda (questo nelle grandi realtà, ma si può fare anche nel piccolo, ad esempio con collaborazioni fra professionisti): si tratta, di fatto, di essere aperti all’Open Innovation. Un approccio che fa la differenza, oggi che i confini fra le strutture sono più sfumati e la cooperazione fra realtà diverse, a volte persino rivali, è fondamentale.
Veramente servirà?
Se dopo tutto questo elenco sei ancora convinto che l’ipotesi del QA come elemento di selezione sia qualcosa di avveniristico, ti sbagli. Al limite, potremmo definirlo più…“spaziale”: guarda cosa è richiesto fra i cinque requisiti essenziali per i candidati astronauti del programma Mars One (la prima missione umana verso Marte)…
Anche nel caso le tue ambizioni non fossero così alte e volessi rimanere coi piedi ben ancorati a terra, ti conviene comunque prepararti, perché oggi il mondo, anche nel nostro piccolo pianeta, richiede adattabilità.
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