
In questa situazione di emergenza a causa del coronavirus, l’innovazione potrebbe portare un aiuto fondamentale per sconfiggere l’epidemia. E, in parte, almeno in alcune parti del mondo, lo ha già fatto.
L’innovazione non è solo una medaglietta da appuntarsi al petto per dimostrare quanto si sia smart e intelligenti; è anche utile, se non indispensabile. È lo strumento che ci proietta avanti, verso un futuro migliore, se sappiamo usarlo adeguatamente.
I Paesi che fino ad ora sono riusciti a limitare o azzerare il contagio lo hanno fatto grazie all’innovazione tecnologica; tuttavia, c’è il retro della medaglia. Purtroppo ciò è avvenuto a totale discapito della privacy; si sono quindi accesi dibattiti su quanto ci si possa spingere nella violazione del proprio spazio riservato in nome della salute. Anche perché, se questo avviene in Paesi con dittature, il legittimo dubbio che può nascere è sulla tutela della privacy; e se i dati sottratti per il bene comune non fossero utilizzati esclusivamente per l’emergenza, ma diventassero metodi permanenti di controllo degli Stati sui loro cittadini?
E’ chiaro che in un sistema democratico ci sono dei limiti non oltrepassabili. Ma la questione non è semplice, perché diventa complesso stabilire dove si trovi il punto di equilibrio fra diritto alla salute e diritto alla privacy, sanità pubblica e libertà personale.
D’altra parte, sono questioni delicate che non sono certo il centro di questo articolo. È però importante ricordarle e sapere che l’innovazione sempre più ci pone, in molti campi, dilemmi etici; pensiamo anche al progresso tecnologico e sanitario che permette forme di procreazione sempre più distanti dal concepimento naturale.
Al netto di queste giuste valutazioni, come ci è venuta incontro l’innovazione in ambito tecnologico per contrastare (e vincere in alcuni casi) questa pandemia da coronavirus?
CINA
La straordinarietà della situazione ha permesso al governo di collaborare con le migliori aziende del settore tech per ottimizzare il sistema di sorveglianza cinese in favore della salute. Tuttavia non è detto che in futuro non possa essere utilizzato per un monitoraggio ancora più stretto delle persone, appunto.
Innanzitutto si è blindata un’area grande come l’Italia adottando restrizioni estreme; abitanti obbligati a rimanere in casa con limitatissime possibilità di spostamento nella zona di Wuhan e dello Hubei. Misure solo leggermente meno restrittive estese a tutta la Cina: possibilità di rientrare a casa o al lavoro solo attraverso scansione del proprio QR code personale; compilazione di un modulo in cui sono indicati la presenza di sintomi e i movimenti recenti; rete capillare di controlli. Tramite il QR code è così possibile individuare la persona o definire il grado di rischio contagio da coronavirus.
L’app – grazie all’enorme mole di dati raccolti – permette rilevazioni importanti. Contemporaneamente, assegna un codice colore (rosso, giallo o verde) cui corrispondono misure di quarantena o limitazioni più o meno stringenti a cui si è obbligati ad attenersi, anche perché il loro rispetto o meno è rilevato sullo smartphone.
Il codice colore varia se il soggetto è stato a contatto con persone che portano un codice di pericolo; questo permette alle autorità di fermare sul nascere i movimenti dei potenziali veicoli di contagio. Ai cittadini può essere richiesto anche di consegnare un registro degli spostamenti recenti ricavati dai dati GPS e WiFi attraverso la propria compagnia telefonica e da presentare in azienda.
Sempre a proposito di app, varie sono state utilizzate con funzionalità differenti. In alcune si è inserito un close contact detector che notifica all’utente se è stato in contatto con un portatore del virus. In altre, come Baidu, si è fornita in tempo reale la concentrazione di soggetti in un luogo, permettendo ai suoi utenti di evitare gli assembramenti.
Nell’ambito dei trasporti, un programma online richiede ai viaggiatori di inserire i dati del proprio viaggio insieme ai propri dati personali; ciò consente di sapere se si sia viaggiato con casi confermati o sospetti di coronavirus.
A Chongqing è disponibile una mappa che oltre ad individuare i casi confermati di coronavirus, traccia a ritroso attività e spostamenti dei contagiati; in questo modo, gli abitanti possano valutare meglio il proprio rischio contagio e esercitare maggiore cautela nelle zone interessate dal passaggio del caso di contagio (ad es. nel toccare le superfici).
Nell’ambito della robotica, per limitare il rischio per il personale sanitario, in alcuni ospedali di “zone calde” sono entrati in funzione alcuni dottori robot. Essi prendono la temperatura, monitorano visivamente lo stato di salute, consegnano i pasti, effettuano tamponi, auscultano, ecc.
I droni sono invece stati utilizzati per le consegne ai pazienti e per veloci trasporti di campioni fra strutture ospedaliere. Ma anche per rafforzare il sistema di vigilanza attraverso l’installazione di altoparlanti e videocamere ad alta definizione sugli stessi; permettono così agli agenti di monitorare aree più ampie in modo sicuro, dando indicazioni e riprendendo pesantemente gli inadempienti. Sono stati infine usati anche per rilevare la temperatura della persona a distanza e avvisare le autorità in caso di febbre.
Sempre a proposito di rilevamento della temperatura corporea, si sono installati vari sistemi nei luoghi di massima aggregazione come la metropolitana; addirittura a Chengdu il sistema di rilevamento avviene attraverso elmetti in dotazione agli agenti per controllare i passanti nel raggio di cinque metri.
Grazie all’intelligenza artificiale, invece, Alibaba ha sviluppato un sistema di diagnosi. Permette di individuare, in pazienti con sintomi di polmonite e tramite una TAC, la presenza di coronavirus con un grado di efficacia del 96% in soli 20 secondi; si riducono così drasticamente i tempi di diagnosi.
Baidu è riuscita a riconoscere le persone che girano senza mascherina con una precisione del 96,5%. Ha poi reso il sistema opensource per darne la massima diffusione.
COREA DEL SUD
Questo Paese è un altro di quelli che vengono considerati come un esempio di lotta contro il coronavirus senza ricorrere a estese serrate, pur applicando programmi di isolamento sociale.
Innanzitutto, il punto di forza principale è stata l’esecuzione di un elevato numero di tamponi. Quasi 300.000, svolti in cliniche o anche direttamente nella macchina delle persone; un modello che inizia ad essere imitato anche in altri Paesi come in Italia, a San Lazzaro (BO). Nel nostro caso caso non è uno screening a tappeto; i test sono svolti su chi ha stretti contatti con positivi, operatori sanitari e persone in isolamento, potenzialmente guarite. Ma anche negli Usa si è allestito qualche sistema di testing del genere.
Non sono solo i test a tappeto che hanno aiutato la Corea del Sud; una mano importante l’ha data anche il contact tracing. In pratica, la possibilità di ricostruire la catena dei contatti a partire da un caso diagnosticato per procedere ad isolamenti e e quarantene. Il tutto basandosi su attività e spostamenti delle persone con infezione monitorate attraverso un’app; i cittadini provenienti da aree a rischio, come la Cina, dovevano obbligatoriamente compilarla tutti i giorni riferendo il proprio stato di salute.
E i dati non arrivavano solo alle autorità. Infatti, qui le informazioni su spostamenti e attività svolte dai primi casi positivi sono state rese pubbliche sui siti governativi. Si sono create mappe e si è ricorso ad ogni mezzo che desse informazioni sugli spostamenti: carte di credito, telecamere a circuito chiuso, spostamenti registrati tramite abbonamenti per i mezzi di trasporto. I movimenti delle persone sono stati utilizzati per mandare messaggi di allerta alla popolazione.
SINGAPORE
Anche a Singapore si è imposto il controllo dei singoli movimenti di ogni cittadino nonché l’invio di continui messaggi sullo smartphone per controllare chi è in isolamento, telefonate a cui era necessario rispondere con un selfie che dimostrasse dove ci si trovasse in quel momento unite al rilevamento istantaneo della posizione tramite Gps. Inutile dire che erano previste pene durissime per chi barava.
AMAZON
Il coronavirus non ha portato solo problemi sanitari, ma anche legati allo sciacallaggio di persone che cercano di sfruttare le paure (giustificate o meno) della gente ricaricando a dismisura i prezzi di prodotti molto ricercati. Così, per evitare speculazioni, Amazon ha annunciato di studiare provvedimenti per individuare e perseguire comportamenti disonesti ed illegali in collaborazione con le autorità.
Rimozione, quindi, di centinaia di migliaia di prodotti a causa del loro sovrapprezzo, sospensione di migliaia di account di venditori, rimozione di pubblicità ingannevoli rispetto alle qualità presunte di certi prodotti nel combattere il virus.
Amazon non è comunque l’unico rivenditore online che sta cercando di fare la propria parte contro chi sfrutta i timori dei consumatori in un momento così delicato.
E IN ITALIA?
In Italia per ora qualcosa di solo vagamente simile alle misure precedentemente elencate è stato il monitoraggio della Regione Lombardia svolto in collaborazione con le compagnie telefoniche di rete mobile. Hanno verificato gli spostamenti dei possessori di telefono cellulare nella regione, analizzando le celle telefoniche attaccate, con intenti comunque molto differenti rispetto agli esempi prima riportati. E’ uno studio che ha permesso di rilevare una riduzione del 60% degli spostamenti durante l’emergenza.
Per quanto riguarda app e sorveglianza sui sintomi, esiste la Lazio Doctor per Covid, per esempio, che monitora a distanza gli utenti a rischio.
D’altra parte, in Italia non sarebbe possibile attivare misure più drastiche come quelle cinesi o coreane per via dei motivi di privacy già sottolineati. Essi priverebbero totalmente della riservatezza milioni di persone abituate a vivere e muoversi secondo le regole della democrazia, che non accetterebbero un monitoraggio costante di qualsiasi attività. Oltretutto, non avremmo neanche le tecnologie sufficienti, al momento, per potere implementare – ad esempio – una sorveglianza video di massa. Richiederebbe non solo un numero ben più elevato di telecamere di quelle attuali, ma anche una interconnessione fra loro per creare una rete di intelligenza artificiale.
E rimarrebbe comunque il problema di riservatezza violata che richiede di ponderare molto bene le scelte.
Qualcosa che potrebbe già essere fatto con le tecnologie a disposizione, però, è “l’uso di sistemi di analisi automatica delle immagini tomografiche polmonari per comprendere se possono essere utili ad abbreviare i tempi di diagnosi» come dice la dottoressa Giovanni Arcuri, direttore Uoc tecnologie sanitarie al Gemelli di Roma.
Certo, l’intelligenza artificiale potrebbe agevolarci infinitamente nella diagnostica e terapia aiutando il clinico nell’individuazione dei segni di probabili patologie. Ma anche nell’identificare nuovi segnali che prevedano l’insorgenza di alcune malattie o individuare correlazioni fra i risultati di diversi esami clinici che siano sfuggite alla ricerca umana. Per il coronavirus o per altre patologie.
Inoltre, l’IA potrebbe tornare molto utile anche in campo farmaceutico per abbreviare i tempi di rilascio di farmaci e vaccini.
In pratica, volendo sfruttare al massimo le innovazioni tecnologiche, potremmo combattere con molta efficacia questo virus. Tuttavia, un primo problema è la mancanza delle strutture (e forse anche dei soldi) sufficienti per agire con forte impatto. Un’altra difficoltà, invece, riguarda il delicato rapporto fra libertà personale e benessere collettivo, che in una democrazia non può essere trascurato.
In mezzo agli estremi fra il nulla e una sorveglianza da Grande Fratello resta comunque la possibilità di utilizzare alcune tecnologie di avanguardia per diagnosi più veloci, maggiore rapidità nell’accesso a farmaci curativi, monitoraggio dei pazienti e riduzione del rischio per i sanitari con l’uso di robot.
Ricordo, infine, che non è mai il mezzo a determinare l’eventuale problema, ma il modo e il fine con cui è usato dalle persone.
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