
Nato intorno agli anni 2000 in California, all’Università di Stanford, il Design Thinking è un insieme di tecniche molto utilizzato per l’innovazione di prodotti e servizi; aiuta a risolvere problemi complessi attraverso una gestione che integra capacità analitiche e creative e mobilita tutte le risorse aziendali, poiché consente a molti di contribuire alle soluzioni.
La sua estrema plasticità gli ha permesso di diffondersi in ambienti molto differenti, spaziando dagli studi di design al mondo digitale, fino alla consulenza direzionale.
Alla base del modello stanno le persone, nel senso che l’obiettivo a cui si mira è comunque quello di creare valore a favore degli stakeholder, tramite prodotti e servizi che soddisfino i bisogni delle persone. Si parte quindi dai problemi degli utenti per trovare soluzioni che li aiutino.
Perché funzioni al meglio, è indispensabile un team fortemente eterogeneo i cui membri provengano da aree differenti. Questo permette di partire da un punto di divergenza forte che aiuta a guardare al fenomeno da indagare da angolature differenti, agevolando le soluzioni creative.
Perché è utile?
Se avete un problema di qualsiasi tipo nella vostra impresa e non sapete come risolverlo, allora il Design Thinking potrebbe fare al caso vostro, perché aumenta nettamente la capacità delle organizzazioni di qualsiasi tipo di prendere decisioni efficaci, creando nel contempo squadre coese e “benessere” per tutti i suoi stakeholder, interni ed esterni. Sviluppa il pensiero creativo e la capacità di soluzione dei problemi, rappresentando quindi una risorsa fondamentale per prendere decisioni importanti su problemi aziendali di vario tipo: le strategie, il lancio e miglioramento di prodotti o servizi, l’organizzazione aziendale, le risorse umane, l’avvio di start up, ecc.
Le 5 fasi
Il DT si muove essenzialmente attraverso cinque fasi fondamentali per arrivare al risultato:
Empathize > Define > Ideate > Prototype > Test[1]:
1. Empathize: identificare il problema e l’obiettivo, empatizzando con i tuoi utenti
2. Define: identificare contesto, dati e attori chiave, i loro problemi e le opportunità
3. Ideate: ricercare opportunità, esplorare idee diverse fra cui selezionare la migliore
4. Prototype: Ideare il prodotto/servizio, creando anche prototipi
5. Test: realizzare il prodotto/servizio, testandolo direttamente e implementandolo sulla base dei feedback
Un metodo ricorsivo
Il processo non va visto come lineare, ma ricorsivo: si ritorna ai passi precedenti in base agli esiti delle fasi di prototipazione e di test per arrivare a realizzare al meglio il nostro obiettivo.
Ad esempio, dal prototipo e da come viene accolto si possono generare nuove idee; allo stesso tempo, i test finali possono originare nuovi spunti se non addirittura portare a ridefinire il problema stesso attraverso i feedback ricevuti.
Il prototipo e i test servono proprio per mettere sul campo direttamente ciò che abbiamo ideato e ridefinirlo e migliorarlo rapidamente fino a che non arriviamo al prodotto/servizio finale ottimizzato.
Sono proprio i nostri utenti che ci aiutano a capire se abbiamo trascurato qualcosa, se possiamo migliorare degli aspetti o se dobbiamo ridefinire il problema. Immaginate una sorta di circolo virtuoso fra l’impresa e il consumatore. Dove la prima impara direttamente dal secondo e rielabora sulla base di un’esperienza reale e non di una creazione astratta nata unicamente all’interno di un ufficio senza alcun contatto diretto con il cliente finale a cui la soluzione va diretta.
Ancora una volta devo sottolineare come, alla base dell’innovazione, non stia tanto la tecnologia (che è uno strumento potentissimo, ma è principalmente un mezzo) quanto le persone: sia quelle che devono trovare un modo creativo per risolvere i problemi sia i consumatori finali di cui bisogna comprendere i bisogni, anche coinvolgendoli direttamente nel ciclo di sperimentazione.
Una volta realizzata questa fase, allora la tecnologia può essere fondamentale per la realizzazione. Ma una tecnologia utilizzata senza un pensiero dietro rispetto a chi è rivolta, quali problemi risolve, come renderla chiara e semplice all’utente crea più difficoltà di quelle che risolve.
Modelli
Secondo l’Osservatorio Design Thinking for business del Politecnico di Milano[2] esistono due obiettivi di base che sfruttano a loro volta due strumenti ciascuno:
Creazione di soluzioni attraverso:
1. Creative Problem Solving. L’innovazione passa attraverso la comprensione dei bisogni dell’utente e immaginando il più alto range di soluzioni possibili per rispondervi, per poi restringere il campo fino a trovare la soluzione migliore.
2. Sprint Execution. L’obiettivo è quello di realizzare velocemente prodotti efficaci da far testare ai clienti per poi migliorarli mano a mano. Fondamentali sono la Prototipizzazione e la User Contribution.
Creazione di vision attraverso:
- Creative Confidence. Si occupa di creare le basi perché le imprese possano essere predisposte all’innovazione e al cambiamento, stimolando alcuni aspetti base della mentalità innovativa, come empatia e tolleranza al rischio ed al fallimento.
- Innovation of Meaning. Serve a ridefinire la vision e i messaggi e valori dei prodotti/servizi offerti, si cerca in questo modo di apportare valore sia all’organizzazione sia all’utente finale.
Le tecniche che si possono utilizzare sono variegate: brain storming, mappe mentali, ricerche etnografiche, customer journey, minimum viable product, fast prototyping, ecc.
E in Italia?
Nel “Rapporto 2018 dell’Osservatorio Design Thinking for business” si sono esaminate oltre 60 aziende che utilizzano il DT in Italia. In merito ai quattro metodi appena descritti, emerge che il più utilizzato (81% delle imprese studiate) è il Creative Problem Solving che incide principalmente nell’ambito “Solution”(servizi, prodotti, comunicazione, retail, esperienza). Il secondo modello più adottato (dal 49%) è la Sprint Execution; anche qui l’ambito “Solution” è il più impattato. Circa un terzo delle imprese (34%) utilizza anche il modello Creative Confidence; poiché in questo caso si punta più a creare una cultura organizzativa e una mentalità innovativa, l’ambito più impattato è sensatamente quello “People”. La stessa percentuale utilizza poi anche l’Innovation of Meaning il cui impatto principale è nell’ambito “Direction”.
Conclusioni
Il DT è un mezzo potente che può sostenerti nel realizzare velocemente dei prodotti/servizi, aiutare a creare un clima di collaborazione e confidenza nei propri mezzi, migliorare l’impatto sul cliente. Non è uno strumento valido solo per grandi aziende, può essere utilizzato da tutti, anche piccole imprese e studi professionali. Se sai come usarlo, può essere una potente spinta all’innovazione per distinguersi dalla concorrenza.
[1] Trovate qui un’utilissima guida in inglese per approfondire il tema: https://web.stanford.edu/~mshanks/MichaelShanks/files/509554.pdf
[2] https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/design-thinking-for-business. Consiglio di navigare un po’ il sito www.osservatori.net. Troverete numerosi articoli e guide che ruotano attorno al tema dell’innovazione digitale.
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