
Nel precedente articolo (che consiglio di leggere per avere un’idea completa del tema) abbiamo analizzato le prime quattro leggi dell’innovazione, così come esplorate nel libro di Steven Johnson[1]. Proseguiamo ora con le successive, ricordandoci come i confini fra esse siano abbastanza sfumati; spesso l’una si riversa o si completa nell’altra. Anche per questo è importante avere una visione d’insieme per comprendere meglio il processo di creazione dell’idea innovativa.
Serendipità
La serendipità rappresenta il trovare qualcosa (che non si cercava) mentre si stava inseguendo altro. Per estensione, indica anche il fare scoperte positive per puro caso. Cosa può stimolare la serendipità? Inutile provare a cercare a caso, creando il caos completo. Un po’ di disorganizzazione voluta, invece, è l’ideale.
Le ricerche neurologiche hanno dimostrato che il nostro cervello alterna periodi di sincronizzazione ad altri di interferenze. L’”aggancio di fase” è costituito da milioni di neuroni che si attivano in perfetta sintonia. Nel mezzo, esistono periodi ricorrenti di disorganizzazione, in cui i neuroni non si muovono in modo armonico.
Per quanto possa sembrare paradossale, sono proprio questi momenti di caos e una loro più lunga durata che sembra siano collegati con un maggiore QI, come risulta da una ricerca di Robert Thatcher del 2007[2]. Secondo Thatcher, queste interferenze permettono al cervello di creare connessioni che altrimenti non sperimenterebbe se vivesse solo momenti di attivazione ordinata. In qualche modo, la fase caotica serve ad assimilare nuove informazioni.
Nei sogni avverrebbe qualcosa di simile; e non è affatto un caso che vi siano diversi esempi di soluzioni a problemi complessi arrivate in fase REM. Grazie ad impulsi caotici che si diramano per tutto il cervello in modo apparentemente casuale, il sogno ci permette di attivare infinite nuove connessioni. Relazioni che non realizzeremmo in stato di veglia dove la modalità razionale tende a portarci su percorsi più lineari.
Questa tendenza ad aumentare le connessioni casuali incide sulla serendipità nel momento in cui mi permette di imbattermi in un collegamento difficile da intuire (e quindi da cercare) in modalità logica. Ovviamente, l’informazione inattesa diventa importante nel momento in cui completa un pensiero, un’intuizione rimasta a metà.
Molto spesso, queste connessioni nascono nel punto di incrocio fra discipline differenti (e torniamo ai concetti di rete e di possibile adiacente). La sfida è, quindi, come ricreare situazioni che permettano questi incroci casuali, ma essenziali, sia dentro di noi che nell’ambiente di lavoro e sociale in cui siamo immersi.
Per quanto possa sembrare banale, una modalità è quella di prendersi delle pause di totale stacco e relax. È il motivo per cui molte intuizioni avvengono mentre si passeggia (e si stava pensando a tutt’altro), sotto la doccia, mentre si sogna. Perché? Perché questi momenti di totale riposo sono quelli in cui ci si stacca dall’aggancio di fase e si lascia il cervello libero di vagare; si crea così quell’interferenza utile al pensiero creativo, l’improbabile scontro fra connessioni mai pensate prima. Ciò che ci porta fuori dalla routine quotidiana e lascia vagare la mente fra intrecci irrazionali, aiuta questo movimento.
Un altro mezzo è quello di dedicarsi a letture e interessi anche molto divergenti fra loro e dal nostro campo di lavoro. Non a caso, molti grandi inventori erano anche persone con interessi estremamente diversificati. Spesso questi momenti sono molto brevi, rapidi intervalli in un mare di routine e di impegni pressanti. Inutile dire che questa sequenza non aiuti molto.
In aziende molto innovative come Google questo genere di pause è di fatto appositamente previsto nell’organizzazione del lavoro; uno spazio, anche ampio e interno al tempo produttivo, per seguire i propri interessi.
Occuparsi delle proprie passioni quando hai pochi minuti alla volta, non aiuta l’approfondimento e l’immersione in connessioni inedite. Se non altro perché anche la memoria capitalizza poco se non ha tempo sufficiente a disposizione per immagazzinare e consolidare i concetti.
Come fare, quindi, se non hai la fortuna di lavorare in un’azienda come Google?
Una soluzione arriva da Bill Gates[3]. Lui e altre persone molto creative hanno l’abitudine di mettere da parte durante l’anno tutta una serie di letture che trovano interessanti; le affrontano poi in sessioni di qualche settimana di full immersion, lontano da tutti. In questo modo assimilano informazioni interessanti e molto divergenti, trovando anche il tempo di potervici dedicare con una certa intensità. Le idee hanno il tempo di consolidarsi e di attivare, quindi, nuove interazioni.
Anche internet, ovviamente, è fonte di infinite informazioni negli ambiti più disparati e, quindi, di connessioni. A patto di usarla con accortezza, non lasciandosi distrarre dall’eccesso di notizie, in gran parte futili e strutturate appositamente per attirare la nostra attenzione.
Un modo per utilizzarlo al meglio con il giusto equilibrio fra disorganizzazione e rigidità, è quello di avere un argomento in testa e iniziare la propria ricerca lasciandosi sì trasportare dal flusso di nuovi dati che arrivano. Purché mantengano una qualche attinenza possibile con il nostro tema (evitando di finire intrappolati nell’infinita rete di video demenziali che circolano di nessuna utilità pratica).
Insomma, strutture e ambienti chiusi che non permettono l’incontro di menti e informazioni differenti, non incoraggiano la serendipità. Purtroppo è un dato di fatto che molte imprese che pure vogliono innovare si costruiscano appositamente strutture rigide e piene di muri (interni ed esterni) . Alcune delle aziende più all’avanguardia, oggi, hanno invece iniziato a condividere parte delle loro ricerche più avanzate con una rete fatta di università, clienti, fornitori, permettendo alle idee di circolare (con un limite più o meno ampio). Ricavano così nuova linfa proprio da questo sistema di diffusione, che porta a feedback e idee utili per le innovazioni dell’azienda stessa.
Uno dei motivi per cui il brainstorming è stato ultimamente rivalutato in negativo come metodo che non aiuta l’emergere di nuove idee è che si imbriglia la creatività in uno spazio e tempo definiti e, una volta finita la sessione, ciascuno procede per la propria strada. Difficilmente le idee creative e le connessioni feconde possono emergere a comando, in quel tempo e in quello spazio ristretto, dettato dai ritmi della produzione. E’ molto più facile che affiorino e collidano se possono farlo in modo spontaneo, creando qualcosa di più fruttuoso nel tempo.
Tutto l’ambiente dovrebbe essere organizzato, quindi, in modo da facilitare questi incontri casuali, senza obbligarli in spazi e tempi ristretti. Dando quindi alle buone idee la possibilità di venire in contatto con le altre nel momento in cui emergono (non quando lo decide il management).
Errore
Un altro inganno della nostra mente quando si parla di innovazione, è che l’idea, se anche emerge nel tempo, sia un susseguirsi di pensieri logici e conseguenti che si accumulano in sequenza, migliorando sempre più il prodotto finale del nostro pensiero.
In realtà, la storia delle invenzioni mostra come il più delle volte queste siano costellate da infiniti errori; i quali sono stati talvolta proprio la causa del successo, portando elementi inaspettati che permettevano di arrivare alla svolta definitiva. Tuttavia, l’errore da solo difficilmente è utile, a meno che non si colleghi ad un’idea che già si è sviluppata nella mente dell’innovatore. Di fatto, anche questo caso rappresenta l’incontro casuale di una connessione utile grazie alla serendipità, esplorando (per sbaglio) l’adiacente possibile.
Ma perché l’errore può rivelarsi fecondo? Perché ci obbliga a percorrere territori inaspettati, allontanandoci dalle catene della sicurezza della nostra ipotesi. Il problema è che, solitamente, quando siamo convinti della giustezza di un’ipotesi, tendiamo ad ignorare ciò che la contraddice. E questo accade più spesso di quanto si immagini anche con gli scienziati che, per forma mentis, dovrebbero invece essere abituati a non dare per scontata l’idea iniziale. Se non liquidiamo l’informazione incoerente con i nostri presupposti come sbagliata, se ci lasciamo “contaminare” dall’errore, questo può dare vita a prospettive ignorate, a una maggiore creatività o alla soluzione agognata al nostro quesito. Ancora una volta, le interferenze possono dimostrarsi estremamente fertili. L’errore ci obbliga a ripensare i nostri pregiudizi e a considerare visioni alternative.
Exattazione
L’exattazione è un termine della biologia evoluzionista: un organismo sviluppa un aspetto utilizzato per un uso specifico, ma poi quel tratto viene dirottato a tutt’altra funzione. Un esempio sono le penne dell’uccello. Comparse inizialmente per le regolazione della temperatura corporea, si sono poi trasformate in un ottimo mezzo per controllare il flusso dell’aria e permettere il volo. Anche qui, si parte da un errore: una mutazione incidentale che poi si rivela adattiva per l’ambiente in cui ci si muove e per le necessità dell’organismo che così può evolvere ulteriormente.
Nell’ambito dell’innovazione, abbiamo exattazione quando uno strumento o un’idea pensata per uno specifico ambito, mostra possibilità e utilizzi inaspettati per un altro. Quanto più un ambiente è ricco in diversità (di persone, visioni, culture, ecc.), quanto più è probabile che avvenga l’exattazione. Cioè che una persona con una formazione di un certo tipo venga in contatto con idee o strumenti di un altro ambiente o settore che possono rivelarsi utili per il proprio. Quanto più le reti sociali sono ampie e disomogenee, quanto più le persone sono creative. E’ lo stesso motivo per cui persone con interessi differenziati tendono ad essere più creative.
Piattaforme
In ecologia, sono definiti “ingegneri di ecosistema” quegli organismi capaci di dare vita ad un vero e proprio habitat. I castori, ad esempio, abbattono alberi per costruire le loro dighe, creando acquitrini, che a loro volta rappresentano ambienti adatti per molte specie, attirandole. Di fatto, creano una nuova piattaforma in grado di sostenere moltissime altre forme di vita. L’obiettivo del castoro non è quello, ma tale è l’effetto finale.
La creazione di una piattaforma corrisponde alla realizzazione di un vero e proprio nuovo sistema sulla cui base altri organismi (o idee, tecnologie, ecc.) possono proliferare. Il GPS, Internet, laboratori di ricerca multidisciplinari, Linux, la barriera corallina sono tutti esempi di piattaforme sulle cui basi si possono costruire nuovi sistemi, talvolta anche molto diversi da quelli delle intenzioni originarie. Piattaforme le cui risorse vengono condivise, non protette.
La cultura stessa è costituita da piattaforme, interi campi del conosciuto sulle cui basi si costruiscono nuove idee, pensieri, orientamenti letterari.
Spesso le piattaforme emergenti riutilizzano il materiale di scarto di chi è venuto prima, reinventano novi modi per sfruttarlo; questo le rende creative. In un certo senso, l’idea recente nel settore ambientale dei “rifiuti zero” è un esempio di piattaforma perfetta, dove sulle basi del riutilizzo del vecchio si costruisce il nuovo.
Queste sette appena descritte (nei due articoli) sono quindi le regole che sembrano incessantemente riproporsi di fronte a quasi tutte le forme di innovazione; da qui si possono prendere spunti anche per ricreare volutamente ambienti e situazioni che presentino tratti comuni a questi aspetti, incentivando così l’aspetto creativo e produttivo.
Come già accennato, tutti gli elementi qui esaminati operano meglio nei territori aperti in cui le idee si trasmettono liberamente.
Come dice Johnson in conclusione del suo libro, per stimolare l’innovazione “fate una passeggiata; coltivate intuizioni; scrivete tutto, ma preservate il disordine del vostro archivio; abbracciate la serendipità; commettete errori fecondi; appassionatevi a hobby molteplici; frequentate i caffé e le altre reti liquide; seguite i link; lasciate che altri sfruttino le vostre idee; prendete in prestito, riciclate, reinventate. Costruite una plaga lussureggiante”.
[1] Steven Johnson, (2010), Dove nascono le grandi idee, Rizzoli, Milano, 2011
[2] Thatcher Robert W., W. D. M. North e C.J. Biver, Intelligence and EEG phase reset: A two compartmental model of phase shift and lock in «NeuroImage» 42, n. 4 (2008): 1639-53.
[3] Un interessante documentario sulla vita, la personalità e gli interessi di Bill Gates è Inside Bill’s Brain di Davis Guggenheim distribuito da Netflix
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