Aspetti psicologici dell’innovazione nel metodo Toyota

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Nell’articolo precedente – a cui rimando per una migliore comprensione di alcuni termini – abbiamo visto alcuni aspetti essenziali del Toyota Production System. Sì è soliti considerare il TPS come un insieme di tecniche sostenute e rese coerenti da una filosofia di base; in realtà in questo sistema organizzativo c’è anche molto di psicologico, e non solo di tecnico, che aiuta il suo successo. Non è immediato intravvedere le sfumature psicologiche del metodo, tuttavia è proprio lì che si annidano le cause della sua riuscita. È per questo che introdurre un metodo lean in azienda senza tenere conto della sua filosofia di fondo (che porta con sé gran parte degli aspetti motivanti) porta solo a limitati successi, destinati col tempo a ridursi.

Quanto di straordinario c’è in questo metodo ha in gran parte a che fare con l’umano.

Sono esattamente gli aspetti psicologici del Toyota way che ne rendono possibile la sua flessibilità, permettendo di ottenere risultati eclatanti persino in settori molto differenti qualora le caratteristiche di base, gli obiettivi e il senso dell’agire siano mantenuti pur con i dovuti adattamenti.

Entriamo nei dettagli per spiegare meglio quanto premesso. Come scrivono Liker e Attolico[1], i numerosi principi contenuti nel Toyota way possono essere riuniti in quattro macrocategorie: filosofia, persone/partner, processo, risoluzione dei problemi. È in questi settori che si nascondono quegli aspetti psicologici che possono, in parte, spiegare il successo del metodo.

Filosofia

Innanzitutto, la filosofia di fondo. In questa visione, le scelte devono essere guidate da una visione sul lungo periodo anche a scapito del guadagno di breve termine. Le azioni debbono essere comunque a favore dei lavoratori interni, dell’azienda e del contesto sociale in cui è inserita. Tutti si muovono verso un obiettivo comune superiore al semplice profitto. Ciascuno deve comprendere il proprio ruolo nella storia dell’azienda, impegnandosi per la sua crescita. Non è difficile comprendere l’impatto psicologico sulla persona di una società che realizzi le sue azioni coerentemente con questa filosofia.

Appartenere ad un’impresa che segua realmente una tale impostazione determina nel lavoratore un senso di accoglimento e di sicurezza. La percezione interna non è quella di far parte di un sistema che punta al profitto a breve termine e a tutti i costi, ma di un luogo di lavoro che “si prende cura”, che mira ad un bilanciamento del suo ecosistema e degli attori che lo costituiscono.

Un’azienda che segua questi criteri crea un senso di appartenenza e di orgoglio per i principi etici a cui si ispira; fare parte di una realtà socialmente responsabile crea una maggiore motivazione intrinseca al lavoro nella persona.

Persone

Questo ci porta quasi senza soluzione di continuità alla categoria successiva, cioè persone/partner. Pur in un contesto di stimolazione e spinta al miglioramento, comunque altamente richiedente, l’atteggiamento di fronte al problema non è la ricerca del colpevole, ma della responsabilità, del capire cosa nel sistema non funziona. L’obiettivo è andare fino alla radice, ad esempio con il metodo dei cinque perché, non accontentandosi della causa più superficiale che si trova immediatamente. Si può persino sostenere – pura follia per la visione occidentale – che in Toyota il problema, l’intoppo, sia visto come benefico, un segnale che mostra la reale attenzione sul processo e che permette un avanzamento.

Nel libro “Toyota way” ci sono alcuni gustosi aneddoti che mostrano la sostanziale diversità del pensiero occidentale e orientale e la prospettiva totalmente diversa da cui si guardano i problemi.

La differenza fondamentale è quella che passa fra il cercare un capro espiatorio a cui addossare le colpe e l’individuare una causa, trovando insieme una soluzione.

Il concetto di hansei ne è un emblema: a noi occidentali può sembrare una sorta di castigo, l’angolino in cui ci cacciava la maestra quando non eravamo bravi. Nell’ottica Toyota, invece, è una necessaria riflessione e assunzione di responsabilità ed è solo il primo passo necessario per ragionare su una soluzione che si costruisce quasi sempre come soluzione di gruppo. Ciascuno, quindi, è incentivato a dare un suo contributo alla crescita; contemporaneamente ci si sente parte di una rete che lavora collegialmente alla soluzione. Anche l’ultimo degli operai ha voce in capitolo allo stesso modo in cui il dirigente al vertice non si sottrae dall’analisi diretta dei problemi (genchi genbutsu) e dalla condivisione con il resto dello staff.

Partner

Lo stesso modo di agire (con le dovute modifiche adattate alla situazione) investe anche i fornitori, facendoli entrare a far parte di una realtà più grande; vi è un’unica rete allargata che pensa secondo gli stessi principi e che è aiutata direttamente nella risoluzione dei problemi secondo lo spirito Toyota. Quando applicato correttamente, questo metodo fa sentire le persone parte di un’unica grande famiglia. Come in famiglia, è richiesto di crescere, si è stimolati a farlo, a volte anche con forza, ma sempre nel rispetto; lo stimolo è esso stesso dimostrazione di riconoscimento delle capacità altrui. Nel momento del bisogno e della difficoltà, la “famiglia” si stringe per risolvere il problema insieme.

Processo

Il processo può apparire forse la parte più tecnica, ma in realtà nasconde anch’esso aspetti psicologici importanti. L’obiettivo principe è la qualità per il cliente, cui tutti sono tenuti a contribuire. Ma è il modo in cui si arriva alla qualità a fare la differenza.

Le metodiche che portano alla riduzione degli sprechi e all’one piece flow, non sono altro che strategie che ottimizzano il lavoro del singolo, lo rendono più fluido e parte di un ingranaggio perfettamente oliato per cui si fa parte di un processo continuo. In questo modo, il proprio lavoro è collegato in maniera immediata al passo precedente e a quello successivo, facendo cogliere anche in modo diretto l’importanza del proprio contributo nell’agevolare l’operato altrui e il sistema nel suo complesso. Anche le tecniche di visual management rendono percepibile immediatamente il modo in cui il processo sta fluendo e il contributo che ciascuno sta apportando all’insieme.

Non c’è più un sistema in cui ciascuno crea prodotti (o informazioni, in caso di aziende di servizi) che si accumulano senza sapere come e quando saranno utilizzati. C’è, invece, un movimento fluido, chiaro, visibile che dà un’importanza più immediata alla propria fatica ed è un segno più tangibile di come il proprio lavoro contribuisca al risultato finale.

Risoluzione dei problemi

Infine, c’è la risoluzione dei problemi. Questa viene gestita attraverso processi che coinvolgono e responsabilizzano direttamente il lavoratore, dando così un senso e un’importanza al suo operato. A differenza della catena di produzione fordista l’operaio – pur se inserito in un processo standardizzato e per tanti aspetti ripetitivo – è sollecitato a non essere un numero, ma a poter dare liberamente il suo apporto per il miglioramento continuo. Ciascun operatore può sentire di fare la differenza, di essere fonte di stimolo, di contribuire e di potere essere ascoltato.

Paradossalmente, la standardizzazione dei processi crea autonomia nel dipendente in quanto egli stesso può contribuire ad un miglioramento del processo. Questo, a sua volta, che crea una nuova standardizzazione che può continuamente essere migliorata con il contributo del lavoratore in un infinito circolo virtuoso che oscilla fra regolarità e creatività.

Allo stesso tempo, nella definizione delle soluzioni, le decisioni vengono prese lentamente e per consenso, salvo poi essere implementate con rapidità. La prima fase, quindi, crea un senso di condivisione e di partecipazione delle persone, la seconda un forte senso di efficacia. Una differenza sostanziale dalla modalità in cui una o poche persone prendono velocemente le decisioni, le impongono dall’alto, salvo poi lasciare soli i dipendenti a risolvere tutti i problemi che si presentano una volta implementate. Pericolo estremamente ridotto o annullato nel sistema di presa di decisioni di Toyota. Queste tecniche permettono un miglioramento e apprendimento continui che danno un senso di crescita ai lavoratori.

In conclusione

Gli aspetti psicologici insiti nel sistema non sono l’origine dello stesso né, probabilmente, qualcosa di specificamente voluto. Ma possiamo certamente dire che ne sono una diretta conseguenza e uno dei motori più potenti che possono rivelare la loro utilità in una varietà di situazioni lavorative anche differenti che sappiano tenerne conto.

[1] J. K. Liker, Luciano Attolico, (2004), Toyota Way: I 14 principi per la rinascita del sistema industriale italiano, 2014, Hoepli, Milano

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