
Abbiamo visto nel precedente articolo cosa sia il pensiero laterale.
In che modo potrebbe però essere utilizzato nel concreto? Che valore potrebbe apportare che quello verticale non riesce a garantire?
Credo fermamente che le trasformazioni attuali nella società e nel mondo del lavoro stiano richiedendo sempre più un pensiero laterale necessario a realizzare differenti possibilità di business, creare opportunità e risolvere problemi.
Chi continuerà ad affidarsi solo al pensiero verticale rischierà di essere spazzato via dal mercato e dalle nuove esigenze delle persone.
E questo in ogni campo: dai prodotti ai servizi, dalle grandi aziende ai piccoli negozianti, dall’impresa internazionale allo studio professionale.
Pensiero laterale: emergenza o quotidianità?
Spesso creatività e originalità si considerano doti residuali da utilizzare nelle “grandi occasioni”. Si deve pensare ad un nuovo prodotto, c’è un’emergenza da affrontare temporaneamente, bisogna evitare il fallimento e così via.
In realtà, il pensiero laterale non è solo una “chicca” da usare in momenti eccezionali e specifici, ma dovrebbe essere una forma mentis e un metodo di ragionamento da utilizzare correntemente per fare meglio le cose.
Senza, infatti, non riusciamo a sfruttare completamente informazioni ed esperienze che già abbiamo intorno a noi, ma la cui utilità non riusciamo a vedere perché tendiamo ad usarli sempre nello stesso modo e per gli stessi scopi.
L’eccellenza: una questione solo quantitativa?
Ad esempio, fino ad oggi la maggior parte delle imprese ha considerato la questione dell’eccellenza come qualcosa che avesse un aspetto solo quantitativo: per migliorare, si deve incrementare ciò che già si ha, ridurre un po’ i tempi o gli sprechi. Aumentare un po’ gli aspetti positivi, ridurre un po’ quelli negativi.
Ma il mondo che avanza e ci viene incontro sempre più velocemente non è una realtà che si modifica solo quantitativamente, si altera soprattutto qualitativamente. Di anno in anno si susseguono tecnologie che introducono a volte modalità completamente nuove di fare le cose e di pensare e, di conseguenza, inediti bisogni.
Crogiolarsi nella sicurezza di un prodotto o servizio buono, che ha venduto bene e che si può giusto un po’ perfezionare rischierà di far perdere il treno a chi ragiona in questo modo. E la cosa più impressionante è che quello stesso individuo (o azienda) non si accorgerà neanche che un treno è già passato fino a quando ormai sarà troppo tardi.
La necessità di una mentalità innovativa
Per questo è sempre più necessaria una mente innovativa che impari ad usare il pensiero laterale per cogliere opportunità. Se prima poteva essere la soluzione per chi voleva sbaragliare la concorrenza creando un prodotto nuovo, adesso può essere la chiave di volta che garantisce la sopravvivenza in un mondo che cambia in continuazione e dove la mente deve essere sempre aperta a cogliere nuove connessioni e ad anticipare il futuro.
Non è più sufficiente fare meglio le cose, bisogna proprio farle diversamente.
Pensiamo all’introduzione di Uber, dei vari servizi di food delivery, di Airbnb, del car sharing e così via.
Non sono servizi migliorati quantitativamente, sono invece nuovi modi di vedere le situazioni e di rispondere ad esigenze delle persone che vanno di pari passo con i cambiamenti della società. In questi casi e in molti altri non ha vinto chi è riuscito ad arricchire un po’ il proprio prodotto e servizio, ma chi ha saputo pensare in modo diverso. Laterale, appunto.
Creatività come regola
Questo è capitato sempre nella storia dell’umanità, ma mentre prima si trattava di idee vincenti e creative sporadiche, oggi sempre più è necessario non avere una singola trovata originale, ma creare una vera e propria mente innovativa. Aperta, cioè, a cogliere connessioni nuove, a vedere il mondo con uno sguardo diverso, a non farsi bloccare da schemi conosciuti che ci portano a seguire impostazioni predefinite.
Oggi vince invece chi coglie inedite necessità prima degli altri e sa dare loro risposte.
Molti ancora utilizzano un’idea creativa principalmente per superare una fase di stallo o affrontare un’emergenza, ma in un mondo che cambia continuamente dobbiamo abituarci ad accettare che il cambiamento non sia più un’eccezione, ma una regola. Per questo il modo di pensare laterale e innovativo non è “il servizio buono” che va rispolverato solo per le grandi occasioni, ma deve diventare un “servizio da tutti i giorni” se non si vuole rischiare di uscire dal mercato.
Insomma, non la creatività per la risoluzione di un problema, ma come prevenzione del problema e ideazione di opportunità e benefici.
Innovazione di prodotto o di processo?
Questo vale nel mondo dei prodotti così come in quello dei servizi. A volte l’innovazione necessaria dev’essere di processo, cioè nel modo in cui si svolgono le cose e si realizzano i beni.
Spesso invece le imprese pensano in termini numerici: di fronte ad un problema la soluzione è tagliare i costi, licenziare dipendenti, acquistare materie prime più economiche e così via. Raramente si pensa ad un miglioramento di processo o ad un modo diverso di utilizzare le risorse (anche umane) o i beni che si possiedono.
Cioè non migliorare un po’ ciò che già si fa, lungo la stessa direzione, ma modificare proprio il modo in cui si opera.
Una visione conservativa del miglioramento tende a far fluire le cose risolvendo i problemi mano a mano che si presentano (quando va bene!). Se poi non vi sono problemi, non si sente il bisogno di cambiare nulla, anzi. Si cerca la conferma di ciò che già si conosce senza il rischio di avventurarsi in nuovi territori.
In questo modo, si arriva a perfezionare sempre più il prodotto/servizio fino al momento in cui, però, un concorrente ti sorpassa non con un bene più performante, ma con una vera e propria visione differente che spazza via il prodotto/servizio stesso (e l’azienda che aveva basato su quello la sua prosperità).
Sur/petizione
Sempre De Bono, che già abbiamo incontrato parlando del pensiero laterale[1], nel suo libro “Sur/petition”[2] spiega come non basti più fare concorrenza.
Questo termine, infatti, significa “correre insieme”, il che implica accettare l’idea che si partecipi alla stessa gara dei nostri competitor. Di conseguenza, il nostro comportamento è essenzialmente basato su e confrontato con quello degli altri partecipanti alla gara: la loro qualità, i loro prezzi, il numero dei prodotti/servizi, ecc.
Siamo ancora in una logica quantitativa (cercare di essere migliori in alcuni di questi parametri rispetto alla concorrenza) e non qualitativa, di cambio di paradigma.
Sur/petere, infatti, significa fare gara a sé in un circuito differente, creare un valore nuovo in cui si sia monopolisti (almeno finché non ci copieranno). Secondo De Bono, questi monopoli saranno in gran parte basati su “valori integrati”. Prendiamo un bene come l’automobile: non si tratta più solo di vendere un prodotto migliore degli altri in qualche caratteristica, ma anche di acquistare con essa l’assicurazione, dei servizi di revisione inclusi, delle convenzioni, dei sistemi di aggiornamento dei software presenti nella macchina in automatico e così via.
Inutile dire che la capacità di sur/petere richiede una mentalità innovativa, usa al pensiero laterale più che a quello verticale per cogliere opportunità.
Di fatto, è la famosa “mucca viola”[3] di Seth Godin.
L’analisi di mercato è ancora valida?
Uno dei problemi dell’innovazione è, paradossalmente, uno dei must sull’innovazione stessa e cioè: prima di creare un nuovo prodotto, fare un’analisi del mercato.
Certo, studiare e comprendere i dati ci può dare delle idee su dove indirizzarci, ma a questo vantaggio si contrappone un limite; proprio perché ci guida, in qualche modo ci dà dei confini entro cui tendiamo ad interpretare tutto. Il nostro pensiero, in un certo senso, viene incanalato lungo questi argini e il ragionamento torna a seguire l’andamento verticale.
Ci si trincera dietro a moli infinite di dati cercando di scrutare il futuro. Il quale, di per sé, è abbastanza imperscrutabile e si diverte a mettere in mezzo molte variabili che non si trovavano fra i numeri analizzati. O forse sì, solo che eravamo distratti dal pensiero verticale che ci portava in una direzione obbligata, facendoci chiudere gli occhi su ciò che non rientrava nel nostro schema mentale.
Il pensiero dominante è che prima di correre un rischio, bisogna essere quasi certi del successo.
In verità, le analisi di mercato ci parlano della situazione al momento attuale, quando la osserviamo. Ci parlano della realtà per come è, più che per come potrebbe essere. Ma se l’obiettivo è innovare, rompere degli schemi, difficilmente lo stato del momento potrà darci grandi appigli per la libera creazione.
Secondo una citatissima frase di Ford, “Se avessi chiesto ai miei clienti cosa volevano, mi avrebbero risposto: un cavallo più veloce.”
E la ricerca di mercato serve proprio a capire cosa chiedono le persone nel momento attuale, non ciò di cui possono avere bisogno senza saperlo ancora.
Fallimento come risorsa
D’altra parte in Europa il concetto di fallimento (anche solo di un’idea) viene visto come il mostro da cui salvarsi ad ogni costo. Il percorso fatto di tentativi, prototipi, azioni e aggiustamenti di tiro continui sulla base degli errori precedenti viene considerato con sospetto in tanti casi.
Fallire, sbagliare, commettere errori dovrebbe invece essere visto molto più come una risorsa che non come una sorta di scomunica dalla società dei lavoratori e imprenditori di talento.
In altre culture, come quella americana, si guarda maggiormente all’idea di fallimento come opportunità per imparare e procedere meglio nel passo successivo. L’errore, infatti, porta con sé moltissime informazioni, molto più di un’astratta analisi di mercato, perché sono dati specifici sul tuo prodotto/servizio reale (anche in forma di prototipo), su come viene accolto, cosa piace e cosa no, cosa va già bene e cosa è da modificare tarato su un pubblico vero che entra in contatto con le tue creazioni.
Insomma. le analisi di mercato sono ancora uno strumento molto valido, ma se usate con la consapevolezza di ciò che realmente fotografano e sfruttate con una certa creatività per cogliere dove il mercato potrebbe andare, cosa manca, cosa si può apportare di veramente nuovo che ancora i dati non mostrano.
Spesso le persone non sanno che cosa vogliono finché quel prodotto non viene creato e si determina così la disponibilità dello stesso che attira la domanda.
Immaginare il futuro
Come si può, quindi, creare discontinuità immaginando il futuro? Non con analisi scientifiche ma con creatività e pensiero laterale, immaginando futuri scenari che poi vanno testati in modo flessibile, inserendo aggiustamenti sulla base dei dati che raccogliamo.
È così che, pensando al domani, dal campo del possibile arriviamo al campo del reale. Mettendo in gioco la capacità di sbagliare e imparare.
La direzione migliore, quindi, non parte dai dati per arrivare all’idea, ma parte da un’idea ottenuta in modo laterale per valutare i dati e immaginare scenari possibili. Da qui, prototipi e test per vederne gli effetti reali e accoglimento dell’errore come opportunità.
Inventiamo tutti un nuovo Facebook?
Non vorrei che il mio discorso venisse frainteso. Naturalmente, non immagino che per sopravvivere nel mercato si debba tutti creare ogni giorno innovazioni disruptive! Il miglioramento continuo è una filosofia validissima anche oggi. Tuttavia, il mondo sta cambiando e quello del business con lui.
Vivere solo di piccoli passi migliorativi rischia prima o poi di portare ad uno stallo. E con le velocità odierne, più prima che poi.
Per questo una mente innovativa serve per continuare a rimanere in gara, migliorando i nostri beni, ma anche inventando nuovi modi di vedere le cose e soddisfare i nostri clienti.
Significa rimanere nella corrente del cambiamento, seguire il flusso, sapersi guardare intorno con occhi nuovi e avvistare prima di altri la direzione del futuro.
[1] Qui trovi una recensione del suo libro “Il pensiero laterale”
[2] De Bono E., 1993, Sur/petition, Fontana Press
Molto interessante! Grazie per i numerosi spunti di riflessione!
Grazie a te, Sabrina, per il complimento 🙂
Pensiero divergente collaterale alternativo X sfuggire a analisi del mercato troppo marcate e procedere allora nella aleatorietà d imprevedibilità del risultato? Può essere ci sto … con passione e non arrendevolezza grazie mille X la lettura
Grazie a te, Sonia, per il commento. In realtà non si tratta di sfuggire ad analisi di mercato; si tratta di utilizzarle nello step adeguato e con gli obiettivi coerenti. Se dobbiamo uscire dagli schemi, creare innovazione, soprattutto radicale, in un mondo in continuo cambiamento, l’analisi di mercato classica evidenzia dei limiti. Ma, naturalmente, può essere un buono strumento da utilizzare in aggiunta agli altri per provare a cogliere una direzione. Senza ammantarle di quell’aura di magia che, ormai, con i tempi veloci che caratterizzano la nostra epoca, non hanno più (o non più come prima).