Perché è necessario creare una mentalità innovativa

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Giorni fa leggevo della proposta della Ministra Pisano alla Ministra Azzolina per l’introduzione di una nuova materia a scuola: “scienza dell’innovazione tecnologica” o altro nome da definirsi. Essa avrebbe lo scopo di migliorare le competenze digitali con approfondimenti che potrebbero spaziare “dalla storia dell’innovazione all’applicazione del diritto nei canali digitali, dalla sicurezza cibernetica al riconoscimento delle fonti accreditate per un’informazione accurata online, dall’utilizzo dei big data e del machine learning (l’apprendimento da parte delle macchine) alle nuove tecnologie adatte a uno sviluppo sostenibile”[1].
La trovo un’idea assolutamente utile e un’esigenza sempre più necessaria in un Paese che fatica e arranca rispetto alle nuove tecnologie per colpa non solo di infrastrutture mancanti o lacunose, ma anche di una disaffezione agli studi universitari.

Questo è particolarmente vero per le materie STEM, che non vengono sufficientemente incentivate o rese desiderabili rispetto ad ambiti più tradizionali (il medico, l’avvocato, ecc.). Ma non lo sono neanche rispetto ad altri nuovi che avanzano (l’influencer, lo youtuber); questi rappresentano – almeno nella mente di chi desidera realizzarsi in essi più che nella realtà di chi realmente riesce –  scarso sforzo ad alto rendimento economico.

Tuttavia, la conoscenza tecnologica diventa arida, ma soprattutto inutile, se non affiancata alla dotazione di strumenti cognitivi che aiutino nella creazione di una mentalità aperta a riconoscere l’innovazione, a ricercarla, a realizzarla, ad aprirsi alle sue infinite possibilità. Altrimenti, è come regalare una Ferrari da usare nel circuito cittadino per andare a fare la spesa.

L’importanza della mentalità innovativa

Da un po’ di tempo, e soprattutto recentemente con l’apertura di questo blog, cerco di portare avanti una visione. E cioè che l’atteggiamento mentale, il mindset come direbbero gli inglesi, sia la base di qualsiasi risultato noi vogliamo ottenere (e purtroppo lo è anche nei casi negativi), il terreno di coltura nel quale innestare – solo successivamente – le competenze di natura più strettamente tecnica. Che sono ovviamente necessarie, ma non sufficienti in sé e per sé. Insomma, inutile spiegare gli strumenti dell’imprenditorialità se prima non si prepara il terreno ad una forma mentis imprenditoriale.

Allo stesso modo, risulta poco efficace dotare di conoscenze tecniche che dovrebbero da sole guidare all’innovazione, se non si aiuta la persona ad aprirsi, ad esplorare differenti visioni. A schiudersi essa stessa, innanzitutto, verso un orizzonte nuovo.

Non a caso questo blog si chiama “Menteinnovativa”. Lo scopo è quello di dotarlo un po’ alla volta di riflessioni, strumenti, risorse che aiutino le persone a creare una mente predisposta all’innovazione. Che conosca gli strumenti e le tecniche, certo; ma che prima di tutto si plasmi su una flessibilità di base che permetta di sfruttare utilmente le stesse.

Ed è un lavoro che andrebbe fatto fin dalla più tenera età; dalla scuola, appunto, possibilmente a partire dalle elementari.
Infatti, ci viene lasciata solo una breve parentesi all’asilo; qui, nei casi migliori, si lasciano i bambini dare libero sfogo alla loro creatività e curiosità innata. Ma subito dopo si finisce per incentivare unicamente il pensiero logico (fondamentale, ovviamente), tralasciando completamente quello laterale. Laddove, invece, l’innovazione è data da un uso sapiente e calibrato di entrambi i tipi di riflessione.

L’utilità nella vita e nel lavoro di una mentalità innovativa

A cosa servirebbe incentivare fin dalla più tenera età il pensiero imprenditoriale e innovativo? “Mica tutti vogliono diventare i nuovi Steve Jobs o Einstein”, potrebbe essere la replica dei più.
No, certo, ma l’errore sta esattamente qui. Nel credere che queste competenze sarebbero utili solo per determinati lavori futuri e non per una capacità di approcciare la vita con maggiori risorse.

Una mentalità innovativa aiuta a scorgere soluzioni più che problemi, a trovare nuove vie, a creare connessioni altrimenti impensabili, a puntare più sulla resilienza che sul vittimismo. A vedere – come direbbe Winston Churchill – un’opportunità in ogni pericolo più che un pericolo in ogni opportunità.
Queste sono alcune delle competenze che certamente aiutano a creare una nuova impresa, piccola o grande che sia, o a far progredire la scienza. Ma sono altrettanto indispensabili nel vivere una vita sana, equilibrata, soddisfacente e piena.

Prevenire è meglio che curare

Come psicoterapeuta vedo regolarmente persone con disturbi e problematiche nell’affrontare uno o più campi della propria vita. E, invariabilmente, noto come – pur con le diverse sfumature di contesti, temi e capacità – alla base vi sia un irrigidimento nella propria visione della vita, un’interpretazione limitata e inflessibile di alcuni avvenimenti e situazioni.

Invece, allargare lo sguardo e vedere l’insieme potrebbe dare un senso diverso agli accadimenti. Di fatto, è quello che succede quando si svolge la terapia; si impara a cogliere sfumature più ampie, a dare un nuovo significato alle cose. Il che, a sua volta, permette soluzioni differenti.
Mi capita spesso, in seduta, di fare questo esempio: è come essere in un teatro al buio con un solo faro puntato su un attore che parla. Si tende a vedere un solo aspetto; se invece illuminassimo il teatro, potremmo vedere tutto ciò che vi è presente. Gli altri attori, le loro posizioni, la scenografia che ci spiega il luogo e il tempo in cui agiscono e molti altri elementi che ci aiuterebbero a contestualizzare il tutto.

Se questa modalità di pensiero e approccio alla vita aiuta a curare il disagio, realizzarla fin da piccoli aiuterebbe spesso a prevenirlo e a creare un substrato in cui innestare non solo il progresso di domani, ma anche la base per una vita più piena e ricca di significato.
Si doterebbe così la persona di una naturale capacità di resilienza e di interpretazione più ampia dell’ambiente nel quale si muove, al lavoro come nell’esistenza quotidiana.

L’importanza del fattore umano

La fede cieca negli strumenti, nelle tecniche e nel pensiero logico a nulla serve se non teniamo conto dei fattori umani e delle persone che devono utilizzare tali conoscenze.
Spesso si tende, anche nel mondo aziendale, a puntare tutto sulla tecnologia e si crede di progredire inserendo a forza nuovi software e sistemi di alta ingegneria. Ignorando la base, però: le persone che devono utilizzarle.

La tecnologia in sé senza un substrato di preparazione delle persone al cambiamento non solo non porta al progresso, ma rischia spesso di bloccarlo ancora di più. Ci vuole invece un’analisi di come vivono questa introduzione, di come e quanto vogliono collaborare (leggi qui e qui per approfondimenti).

D’altra parte chi seminerebbe sul cemento invece che su un terreno fertile? Nessuno. Eppure è quello che continuamente facciamo seminando a caso nozioni sulle menti di ragazzi sperando che da sole trovino un terreno sufficientemente fecondo; quando, lavorando sulla predisposizione mentale, potremmo rendere più adatti tutti i terreni e rendere ancora più produttivi quelli già di per sé buoni. Evitando così di tagliare le gambe e il futuro a giovani che, con un piccolo aiuto, potrebbero uscire da una visione che non li aiuta a migliorarsi. Un’impostazione appresa passivamente nell’ambiente in cui sono cresciuti.

[1] https://www.tecnicadellascuola.it/digitale-inseriamo-una-nuova-materia-da-studiare-a-scuola-la-proposta-della-ministra-pisano

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