
Sempre più spesso sentiamo parlare di Generazione Z, i cui componenti sono anche definiti Post-Millennials, Zoomers e in molti altri modi. Spesso la si trova anche indicata, in forma abbreviata, come Gen Z. Gli appartenenti sono i nati tra il 1997 e il 2012, figli della Generazione X (1965-1980) o degli ultimi baby boomer (1946-1964).
Perché è così importante? Perché il nostro progresso dipende da loro: il mondo del lavoro gli si sta aprendo e saranno i protagonisti del prossimo futuro.
Sono i famosi “nativi digitali”, cresciuti a pane e internet, che sono appena diventati lavoratori dipendenti, professionisti, imprenditori o si stanno formando per diventarlo.
Se per loro risulta complesso decifrare dove li porterà il futuro e devono essere abbastanza flessibili da interpretare e seguire il cambiamento, altrettanto importante, per le aziende che li assumeranno, è trattenerne I talenti. Sempre più, infatti, si sente parlare, soprattutto in Italia, della difficoltà di trovare personale adeguato, che abbia le competenze adatte per le sfide che ci troviamo di fronte. Sia da un punto di vista tecnico sia da quello, che sta assumendo sempre più importanza, delle soft skills.
In una recente ricerca condotta da Pack e Hunters Group si è indagato sulle esigenze e le aspettative di questi ragazzi in merito al mondo del lavoro.
Nel ragionare sui risultati dell’indagine non possiamo non tenere conto delle grandi trasformazioni di cui sono stati protagonisti rispetto alle generazioni precedenti: il passaggio al digitale, il COVID-19 e il lavoro nel periodo post pandemico, un mercato del lavoro che fa sempre più i conti con una riduzione dei talenti di cui ha bisogno.
Una ricerca, quindi, importante non solo per comprendere I desideri di questi giovani, ma altrettanto per aiutare le imprese a capire su cosa puntare se non vogliono perdere risorse umane per loro essenziali.
Alcune domande
Prima di analizzarne I risultati, mi piacerebbe fare due brevi domande a Pietro Maria Picogna di Pack, una delle due società che hanno realizzato la ricerca, in modo da contestualizzarla meglio.
Pietro, da dove nasce il desiderio di questa analisi? Quale l’obiettivo che avevate in mente?
Questa analisi nasce dal desiderio di far emergere una verità spesso nascosta nelle indagini portate avanti dai media nazionali. La generazione Z è oggi uno dei beni più importanti per il futuro del mondo del lavoro in Italia e nel mondo. Parliamo di una generazione diversa da quelle precedenti, una generazione attenta a temi importanti quali la diversità e l’inclusione, il benessere psicologico e mentale, l’autonomia dal punto di vista decisionale con una guida a livello di carriera. Per questo quando ci siamo incontrati con Hunters abbiamo deciso di mettere nero su bianco questo progetto e far prendere la luce a un’analisi statistica che tende a mostrare una prima visione di ciò che la Generazione Z oggi chiede ai propri datori di lavoro.
Troppo spesso in questo Paese si parla di giovani che non vogliono lavorare, di fannulloni, di persone che non hanno ambizioni e aspettative. Tuttavia, quello che emerge dall’analisi che abbiamo portato avanti è che il mondo del lavoro dovrà adattarsi a questi nuovi bisogni. Le aziende dovranno adeguarsi a questi nuovi comportamenti e tutti noi dovremmo ascoltare e comprendere un po’ meglio i giovani del nostro Paese. Per questo i punti toccati, dal benessere aziendale nel contesto lavorativo alla possibilità di formazione e sviluppo, diventano temi centrali nella costruzione di un modello socioculturale e socio-economico che rispecchi le necessità di chi oggi ha tra i venti e i trent’anni.
A chi potranno essere utili i risultati del vostro studio?
Possono essere importanti per una serie di attori all’interno del panorama italiano. Partendo dalle istituzioni, che possono ora avvalersi di nuovi dati per calibrare programmi educativi e universitari. Arrivando agli imprenditori che si trovano in un periodo di crisi dei propri talenti (più del 40% dei loro lavoratori affermano di volersene andare). E alle amministrazioni e persone strettamente a contatto con i giovani ogni giorno. Queste possono iniziare a pensare a come strutturare un percorso di carriera personalizzato ed individuale nel quale non conta più che tutti vadano bene ma che la persona si senta a proprio agio e riesca a raggiungere obiettivi importanti attraverso un nuovo modello educativo e culturale.
Bene, con queste risposte in più, torniamo ora allo studio svolto.
Il campione
Sono state intervistate più di 500 persone appartenenti a questa generazione (anzi, con un focus leggermente più ampio rispetto alla definizione stretta di anno di nascita, cioè in un range fra 18 e 31 anni) e provenienti da tutta Italia. Il campione è stato segmentato sulla base del titolo di studio e delle precedenti esperienze lavorative.
Qui sotto, alcuni dati sulle persone intervistate, tratti direttamente dalla ricerca:
- Esperienze lavorative: il 39% degli intervistati non ha precedenti esperienze lavorative. Il 26% ha eseguito solo alcuni tirocini. Il restante 35% ha già effettuato esperienze aziendali significative o è attualmente occupato.
- Età: il 58% degli intervistati ha un’età compresa tra i 21 ed i 24 anni. Il 19% tra i 25 ed i 28. Il 17% tra i 18 ed i 20. Il restante tra i 28 ed i 31.
- Provenienza geografica: il 49% degli intervistati proviene dal nord Italia; il 23% dal centro ed il 27% dal sud.
- Sesso: il 57% degli intervistati è di sesso maschile; il restante 43% di sesso femminile.
- Titolo di studio: il 41% degli intervistati è in possesso di una laurea triennale. Il 35% si è fermato al diploma di maturità. Il 23% ha una laurea magistrale. Il resto dei partecipanti ha altri tipi di titoli (professionali, licenza media, …).
La ricerca
Pack e Hunters Group hanno deciso di focalizzarsi su tre ambiti che sono stati considerati come i più rilevanti per questa generazione:
Formazione
Work-life balance & welfare
Sviluppo e crescita personale
L’obiettivo è riuscire a comprendere le aspettative dei giovani su queste aree calde e aiutare le imprese a prepararsi al cambiamento in essere.
Vediamole più nel dettaglio.
Formazione
Dai risultati emerge una forte aspettativa della Generazione Z a trovare ambienti aziendali accoglienti e attivi nell’investire denaro e risorse sulla formazione delle persone. Non si tratta, però, solo di un desiderio, ma di una chiave di volta importante. Cioè, addirittura per quasi il 60% del target può fare la differenza nella scelta del lavoro, trattandosi di uno degli elementi centrali a cui guardare prima di accettare la proposta.
Insomma, i giovani non pensano di buttarsi alla cieca sul primo lavoro che riescono a trovare, ma intendono selezionare imprese che siano in grado di investire su di loro in modo strutturato, anche attraverso modalità meno tradizionali e più innovative, come l’attività di mentoring, cioè senior che possano seguirli ed aiutarli nei loro percorsi di crescita. Di fatto, non più corsi generali con modalità frontale, ma attività fortemente personalizzate.
Non che la formazione più tradizionale sia, però, scartata. Anzi, viene presa in considerazione, ma puntando maggiormente a percorsi strutturati per le squadre e ad alto valore pratico.
Un risultato che forse può apparire strano per una generazione cresciuta a digitale è che l’e-learning sia il mezzo preferito per una ristretta minoranza (3%), ma risulta coerente se letto all’interno di quanto già evidenziato prima, cioè di una preferenza per una preparazione on the job, pratica e personalizzata. Viene, invece, molto più accettato quando sia di integrazione ad un’esperienza fisica che si unisce al digitale; quindi, come elemento di arricchimento, non sostitutivo. Anche la formazione live e in aula sembra attrarre una piccolissima percentuale di intervistati, solo il 5%. A conferma che è l’integrazione ad attrarre maggiormente.
Un altro aspetto decisamente interessante è una preferenza per una formazione suddivisa per aree tematiche; sempre dal valore pratico, più che continua.
Work-life balance & Welfare
Si sente spesso dire di come i giovani siano sempre meno interessati a vite sbilanciate sul versante del lavoro e di quanto diano importanza ad un rapporto più equilibrato fra vita personale e professionale. Una tendenza che pare sia stata ulteriormente rafforzata dall’avvento della pandemia che ha costretto tutti, bloccati in casa, a rivedere la propria scala di valori e di desideri.
Anche la ricerca dimostra esattamente questo.
Intanto, si conferma come l’idea di un lavoro ibrido fra presenza e online sia un aspetto importante nella scelta (per oltre l’84% del campione!). In Italia, il COVID-19 ha fatto cadere un tabù e non tutti, soprattutto fra i giovani più abituati a muoversi agilmente col digitale, hanno voglia di demolire i passi avanti fatto in questa direzione visto che, spesso, se ben usato, il lavoro ibrido può migliorare il work-life balance.
Un altro mito da sfatare è la ricerca dell’autonomia. O, almeno, di una sua versione. Spesso, infatti, questa viene fatta coincidere col doversela cavare da soli, gestire responsabilità senza avere una guida, un punto di riferimento che aiuti ad apprendere le arti del mestiere. Quindi, indipendenza e responsabilizzazione sì, ma se si viene messi nelle condizioni di assumerle in modo sensato. Ritorna, di fatto, il tema del mentoring e della formazione pratica.
Anche rispetto al welfare le idee sembrano piuttosto chiare: quasi il 50% degli intervistati si aspetta di avere un piano di welfare ben definito. Ma quali sono, esattamente, I benefici che si attendono di ricevere? La possibilità di lavorare da remoto torna anche qui per il 79,5% del campione, il 66% richiede l’assicurazione sanitaria, il 54,8% si aspetta di ricevere buoni pasto.
Ma c’è anche un sorprendente 23,5% degli intervistati (quindi una percentuale ragguardevole) che si attende di ricevere delle stock options.
Infine, qualcuno ritiene importante anche un’attenzione verso la mobilità dei dipendenti (2%) o la disponibilità di assistenza psicologica (0,5%).
Sviluppo e crescita personale
Ho già evidenziato prima quanto la Generazione Z si auguri un’attenzione dell’azienda nel realizzare piani di crescita personalizzata con una predilezione leggermente più alta per le competenze hard rispetto alle soft (52% vs 43%) che, come evidenziano bene gli autori della ricerca, è facilmente comprensibile in un campione molto giovane che esce da esperienze teoriche all’Università con scarsa formazione pratica.
In ogni caso, le imprese dovranno puntare al sostegno allo sviluppo individuale per avere una chance in più nell’accaparrarsi i talenti.
Coerentemente con le aspettative, infatti, il traino principale per la scelta di un’azienda rispetto ad un’altra è proprio l’attenzione dimostrata verso la crescita professionale (per il 59,4% rappresenta la spinta primaria alla scelta). Segue, ad una discreta distanza, il 28,2% delle preferenze date al ruolo e alle mansioni da svolgere mentre, a lunga distanza (5,1%) la ricerca di leader carismatici ai quali ispirarsi. Per quasi il 5% del campione, invece, non avere la possibilità dello smart working può diventare primo motivo di esclusione dell’azienda.
Preferenze a seconda di esperienza, zona, sesso, titolo di studio
Ovviamente, a seconda di età ed esperienza, le preferenze possono cambiare. Non sorprende immaginare che chi non ha mai effettuato un’esperienza lavorativa preferisca, più della media, una formazione on the job. Sotto la media, invece, quella online. Coerentemente, anche il lavoro si desidera maggiormente sul posto più che da remoto. Tuttavia, la preferenza assoluta va alla modalità ibrida.
Risulta invece leggermente più attraente lo smart working nel nord Italia, mentre al centro è la presenza fisica ad essere favorita in molti casi insieme allo sviluppo di un percorso di crescita professionale. Al sud, invece, si ambisce maggiormente all’e-learning e alla presenza di leader carismatici in azienda.
Le donne sono più attratte dalla formazione on the job rispetto alla media, preferiscono ruoli e attività molto ben definiti e avere leader carismatici.
Le distanze sul lavoro in presenza o da remoto sono influenzate anche dal titolo di studio. Chi ha una laurea, è molto più interessato alla possibilità di lavorare full remote rispetto a chi non ce l’ha.
Conclusioni
Quello che ci racconta la ricerca (qui puoi scaricarne una copia) è il cambiamento del mondo del lavoro e delle aspettative dei giovani rispetto ad esso. Le aziende che vorranno rimanere in gioco e prosperare non potranno non tenerne conto. Anche in considerazione della difficoltà sempre maggiore di trovare e trattenere talenti, sarà necessario, da parte delle imprese, comprendere le richieste di chi dovrà lavorare per loro, cercando di creare un buon equilibrio fra necessità aziendali e aspettative dei giovani dipendenti.
Ciò che principalmente emerge è una maggiore flessibilità dell’impiego, che non è più esclusivamente in presenza, ma può accogliere modalità diverse (remoto) o ibride. Allo stesso tempo, la ricerca di una guida sembra essere sempre più pressante in una realtà, come quella italiana, dove il mondo della formazione rimane spesso troppo teorica e in cui la velocità del progresso tecnologico richiede un affiancamento che introduca il giovane a strumenti e metodologie in continuo cambiamento.
Tale tendenza si riscontra non solo sul lavoro, ma anche nell’ambito della formazione. Nonostante la rivoluzione portata dalla pandemia, infatti, il dipendente preferisce sì avere maggiore flessibilità, ma non vuole rinunciare ad una formazione pratica, sul luogo di lavoro, in cui l’apprendimento a distanza sia un ausilio in più, ma non vada a sostituire quello on the job.
I giovani non solo desiderano questo, unitamente ad un piano di welfare strutturato che punti al benessere del dipendente ed al suo sostegno in momenti critici. Se lo aspettano anche. E chi, fra loro, avrà più forza contrattuale, grazie a conoscenze e competenze più ricercate, potrà permettersi di scegliere.
L’azienda farà bene a non farsi cogliere impreparata.
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