Il flusso: cosa accade nel cervello secondo le ricerche scientifiche

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Il flusso_cosa accade nel cervello secondo le ricerche scientifiche

Lo stato di flusso (in inglese, flow) è una specie di stato di grazia in cui chiunque di noi si può trovare (e, presumibilmente, si è trovato) mentre svolge un compito. Lo abbiamo già analizzato a fondo nell’articolo precedente per capire cosa sia, come si raggiunga, quali benefici dia. Ora entriamo ancora più nel merito per vedere cosa dicono le ricerche.

Andrò ad analizzare in sintesi (cercando di semplificare molto) questo studio del 2020 che esamina dettagliatamente ciò che dice la letteratura scientifica su diversi aspetti della flow experience. Per capire meglio cosa succede dentro di noi, come ottenerla e perché possa fare la differenza nella nostra produttività e creatività.
Si è infatti dimostrato come il flusso aiuti a raggiungere le massime prestazioni (indipendentemente dall’ambito); tuttavia, non avviene con facilità, anche se ci sono dei metodi che possono aiutare a raggiungerlo.
È, invece, una condizione influenzata da molteplici fattori: ambientali, cognitivi e neurocognitivi. Alcuni controllabili altri, evidentemente, un po’ meno.

Alcune caratteristiche del flusso

Un elemento che attira l’attenzione è la massima prestazione riscontrata nelle esperienze di flusso, che si tratti di sport, lavoro o altre attività. Il flow è descritto come una situazione di prestazione ottimale denotata da comportamenti fluidi e accurati con un assorbimento talmente completo nel compito da arrivare a perdere la cognizione del tempo e di sé.

Tuttavia, come si diceva, non è una situazione che si raggiunge a comando. Anzi, le caratteristiche che ne rendono più agevole la comparsa sono sicuramente sempre più difficili da trovare in un mondo che ci sottopone  a continue stimolazioni esterne e distrazioni. Però, se si riesce ad ottenerlo, i vantaggi sono indubbi. Ad esempio, uno studio longitudinale di 10 anni di Cranston e Keller ha mostrato che le persone in stati di flusso erano il 500% più produttive. 

Il flusso, poi, sembra avere relazioni anche con le esperienze trascendenti e spirituali. Già Maslow aveva parlato di “esperienze di picco” che rappresentano condizioni di particolare euforia e benessere. Non coincidono con la flow experience ma possono essere considerate, in qualche modo, preparatorie.

Rapporto tra flusso, stress e noia

Il flusso vero e proprio è descritto per la prima volta da Csikszentmihalyi, che ha evidenziato come le condizioni per entrare in questo stato esperienziale includano un equilibrio tra sfide/opportunità e le abilità/competenze di un individuo. Altrettanto importanti sono avere obiettivi chiari e ben definiti con feedback immediato.
Perché la persona rimanga in questo stato, è necessario che la complessità del compito vada crescendo. La figura qui sotto ci spiega meglio il cambiamento di stato che si può sperimentare, come descritto da Csikszentmihalyi:

Modello di flow di Csíkszentmihályi
Modello di flow di Csíkszentmihályi

Ad esempio, quando le sfide e le abilità sono basse, una persona probabilmente sperimenterà l’apatia. Se, invece, le competenze sono maggiori di quelle necessarie per il compito, è più probabile che il soggetto percepisca noia/rilassamento, esperienze comunque di qualità superiore rispetto alla prima. Man mano che il livello del compito aumenta in sintonia con le abilità, l’esperienza si sposta verso il senso di controllo. Al contrario, quando le sfide sono maggiori delle competenze richieste dalla persona, la percezione di preoccupazione/ansia è più probabile. Invece, man mano che il livello di abilità aumenta, la sensazione si sposta verso l’eccitazione. Infine, sulla base di questo modello, si ritiene che si acceda agli stati di flusso quando le competenze e le sfide sono elevate e in equilibrio, risultando in un’esperienza della massima qualità.

Quando si entra nel flusso

Lo stato di flusso è uno dei tanti possibili e si verifica raramente nella vita di tutti i giorni perché le sfide e le abilità raramente sono perfettamente bilanciate. E, in ogni caso, anche questi due parametri non garantiscono il flow. Per avvenire, sono necessari ulteriori criteri. 
Abbiamo già visto nel dettaglio quali siano le nove caratteristiche dello stato di flusso. In sintesi, possiamo dire che quando una persona ha una percezione di abilità equilibrate con le sfide che le si presentano e obiettivi chiari da cui riceve feedback frequenti può trovare un assorbimento completo e l’eliminazione di qualsiasi distrazione. In questi momenti, il soggetto trova un tale livello di immersione nell’attività che sentirà un ispirato senso di controllo, una completa rimozione dell’autocoscienza, una distorsione del tempo e una sensazione quasi di trascendenza.

È dimostrato che le esperienze di flow possono essere raggiunte da qualsiasi persona che svolga qualsiasi tipo di compito purché abbia un adeguato livello di capacità. Infatti, con una maggiore padronanza del compito si ritiene che i valori di flusso siano più elevati[1].

Questa condizione, che alcuni indicano anche con l’espressione “essere nella zona”, è stata registrata in tutti i tipi di attività: transazioni commerciali, sport, videogiochi, musica, arte, yoga, istruzione, solo per citarne alcuni. 
Indipendentemente dal compito, la sua presenza è considerata da molti come il segreto della performance.

Importanza del compito sul flusso

Un elemento che influenza l’ingresso negli stati di flusso è il livello di impegno richiesto dall’attività. Ci sarebbe una sorta di continuum dell’esperienza di flusso basato sulla complessità del compito. Ad esempio, la chirurgia e l’alpinismo sono compiti altamente critici, che sono più spesso segnalati per provocare esperienze di flusso intense ed estatiche. Invece, l’assorbimento in attività sicuramente meno intense come la lettura e i videogiochi hanno esperienze di flusso meno profonde.

Non è solo l’importanza assoluta del compito ad influire, ma anche quella relativa, cioè quella attribuitavi dalla persona. Uno studio di Engeser e Rheinberg ha dimostrato che l’importanza attribuita influisce sui requisiti di abilità/sfida. Durante le attività considerate rilevanti come gli esami, il flusso era alto quando la sfida era bassa mentre nelle attività considerate meno essenziali come giocare a Pac-Man, il flusso era più alto quando c’era un equilibrio abilità/sfida e basso quando la sfida era troppo bassa o alta. 
Inoltre, la stessa ricerca ha mostrato come incidano anche la paura del fallimento e la speranza di successo. In particolare, le persone con la speranza di successo hanno maggiori probabilità di sperimentare il flusso quando le abilità sono equilibrate al compito. Al contrario, le persone con una forte paura del fallimento provano meno flusso quando c’è questo bilanciamento.

Esistono poi delle differenze legate al tipo di attività svolta.  Uno studio di Csikszentmihalyi e LeFevre ha mostrato che il flusso era tre volte più probabile che si verificasse durante il lavoro rispetto al tempo libero. 
Tuttavia, anche all’interno del lavoro, l’effetto dipende dal ruolo. Ad esempio, i dirigenti hanno riportato i livelli più alti di flusso nel lavoro mentre i lavoratori generici hanno riportato il livello più alto nei momenti ricreativi. 

Misurare il flusso

Il metodo principale per studiarlo è stato attraverso questionari e interviste per esplorazioni più qualitative.  Larson e Csikszentmihalyi crearono il metodo del campione di esperienza (ESM) che chiede ai partecipanti di contrassegnare la flow experience in tempo reale in determinati momenti durante la loro giornata. Il problema con questo e altri metodi è, evidentemente, che gli stati di flusso richiedono una concentrazione così alta per cui poca o nessuna attenzione viene allocata su aspetti non utili. 
Inoltre, l’individuo sperimenta una perdita di autocoscienza in cui non sono presenti pensieri autoriflessivi e paura della valutazione sociale, utili per eseguire le richieste dello sperimentatore. 
Insomma, l’introspezione richiesta da queste tecniche di misurazione ha il pericolo di inibire l’esperienza del flusso. Per questo, è stata introdotta la Flow State Scale (FSS), che viene somministrata alla fine di un’attività per non portare il partecipante fuori da tale stato durante l’attività.
Essa trasforma i nove elementi del flusso in dimensioni che pesano in modo eguale su un punteggio composito. Sarà tanto più elevato quanto più i nove elementi (o diversi di loro) aumentano di punteggio. 

Tali automisurazioni, tuttavia, presentano dei limiti. Per superarli, si è iniziato a utilizzare delle metodologie psicofisiologiche. Queste si concentrano sull’espressione dei fenomeni psicologici attraverso i processi corporei per esplorare la natura dinamica del vissuto del flusso durante l’intero compito.
Misure che includono l’elettrocardiografia (ECG), l’elettromiografia (EMG), la conduttanza cutanea e, più recentemente, l’elettroencefalografia (EEG) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI). 

Gli aspetti neurocognitivi del flusso

Oltre a misurare il flusso, negli anni si è cercato di capire sempre meglio il suo funzionamento cerebrale e i meccanismi neurocognitivi che ne sono base. 

Sistema implicito ed esplicito

Dietrich ritiene che esista un bilanciamento fra i due nostri sistemi di conoscenza – esplicito ed implicito – che porterebbe ad un compromesso flessibilità/efficienza. 
Per le neuroscienze, infatti, esisterebbe uno sviluppo gerarchico delle funzioni cognitive, in cui le cortecce prefrontali rappresentano il livello più alto. Secondo il modello neurocognitivo per gli stati di flusso di Dietrich, il flusso sarebbe uno stato di riduzione temporanea dell’attività delle cortecce prefrontali. È l’ipotesi dell’ipofrontalità transitoria (THH) che considera il flusso come un passaggio dall’informazione esplicita a quella implicita, come spiego meglio più sotto.

Infatti, la maggior parte delle ricerche mostra come vi sia una differenza fra l’elaborazione dell’informazione tramite sistema esplicito e implicito; il primo si baserebbe sul linguaggio e sulla consapevolezza cosciente. Il secondo sarebbe invece legato a dei riflessi istintivi, che sono rigidi e rispondono rapidamente senza passare dalla coscienza. Anche se, va detto, nell’uomo esiste anche la capacità di “riprendere il controllo” sull’automatismo e rappresentarsi l’azione prima di prendere una decisione.

Gli elementi coscienti sono mediati dalla corteccia prefrontale dorsolaterale che agisce con due aspetti essenziali. Da una parte, funge da area di memoria temporanea per lavorare sul contenuto della coscienza; dall’altro, attiva la rete attenzionale per selezionare l’oggetto su cui lavorare. 
La corteccia prefrontale dorsolaterale è principalmente coinvolta in funzioni superiori come la coscienza autoriflessiva, il pensiero astratto e la teoria della mente. Inoltre, pianifica, formula strategie appropriate e successivamente dirige le cortecce motorie per eseguire le azioni. 

Elaborazione dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto

Il sistema esplicito sarebbe un evento evolutivo più recente e presente in animali con aree prefrontali più sviluppate (l’uomo è all’apice della scala). Questo aspetto cognitivo è suddiviso in due percorsi: elaborazione dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. I segnali “dall’alto verso il basso” sono quelli diretti all’obiettivo consapevole; ad esempio, trovare le chiavi di casa nel cassetto dove le avevamo lasciate. Il cervello dà degli input che dirigono attenzione e movimento. Mentre il sistema “dal basso verso l’alto” cattura e guida l’attenzione grazie a proprietà salienti degli stimoli, come la suoneria del tuo telefono che ti attiva. È un segnale esterno che eccita il tuo cervello.

La sua funzionalità top-down può anche inibire comportamenti cognitivi ed emotivi inappropriati, impedendoti di agire istintivamente – e inadeguatamente – sulla base di segnali immediati e fattori scatenanti ambientali (dal basso, appunto). Ad esempio, se durante un matrimonio uno ti pesta un piede, creandoti dolore, eviterai di urlare come un pazzo, visto il contesto 🙂
Sono queste stesse capacità inibitorie dei processi dall’alto verso il basso che consentono a una persona di rimanere focalizzata sul compito e non essere distratta da stimoli che catturano solitamente l’attenzione dei processi dal basso verso l’alto.

Modelli neurocognitivi di flusso

Esistono alcune teorie neurocognitive sugli stati di flusso. 

Ipofrontalità transitoria (THH)

La prima ipotesi di ipofrontalità transitoria (THH) di Dietrich propone che durante gli stati di flusso, queste funzioni esecutive superiori delle cortecce frontali siano inibite. Questa riduzione dell’attività frontale dovrebbe ridurre l’elaborazione esplicita come il pensiero autoreferenziale. Quindi libera più risorse da dedicare al sistema di elaborazione implicita, più veloce grazie ai processi automatizzati. Studi recenti che hanno usato misure psicofisiologiche per testare il THH delle esperienze di flusso hanno supportato tale teoria notando una correlazione tra stati di flusso più elevati e soppressione dell’attività prefrontale.

Sincronizzazione del flusso

Un’altra teoria, quella della sincronizzazione del flusso (STF) proposta da Weber e Tamborini contesta il THH a causa di molte attività simili al flusso (come l’ipnosi e la meditazione) che tuttavia mostrano una forte attività frontale. Pertanto, STF sostiene che esista una sincronizzazione di neuroni e reti per comunicare in modo più efficace e creare “esperienze olistiche di ordine superiore” che assomigliano a stati di flusso.
Alcuni studi fino ad oggi hanno fornito supporto anche per tale ipotesi.

Pur essendo molto differenti, entrambe le teorie condividono una convinzione simile nel ruolo del sistema implicito. E cioè che esso non sia consapevole dell’apprendimento che sta avvenendo. In pratica, mentre stai imparando qualcosa in modo automatizzato, non sai che questo sta accadendo.
Il sistema implicito sarebbe infatti basato sull’esperienza e trasmesso attraverso le prestazioni piuttosto che verbalmente. Insomma, non impara attraverso regole verbali, ma in modo integrato da diverse dimensioni percettive. Come quando impari a nuotare, ad andare in bicicletta o a fare la ruota. 

COVIS

La teoria COVIS, acronimo di “competizione tra sistemi verbali e sistemi impliciti”, spiega invece come il processo del sistema verbale domini inizialmente, ma con la ripetizione del compito il sistema implicito sostituisce il sistema verbale esplicito. Tuttavia, entrambi i sistemi rimangono attivi dopo che l’apprendimento è completo.

È la dopamina il neurotrasmettitore che aiuta l’apprendimento, grazie al suo effetto di ricompensa. Essa viene rilasciata in presenza di un comportamento corretto (cioè che si avvicina all’obiettivo). Al contrario, non è messa in circolo se viene fornita una risposta errata. Ciò supporta l’idea che gli stati di flusso possono richiedere un feedback tempestivo e accurato.

Limiti del sistema esplicito

Sistema esplicito

La memoria di lavoro è una sorta di memoria temporanea utilizzata generalmente per lavorare sui dati. Il sistema esplicito ha una capacità di tale memoria limitata. Perciò, quando le richieste di informazioni sono troppo grandi, i compiti paralleli sono ridotti in un minor numero di blocchi. Cioè, meccanismi complessi e movimenti da attuare in contemporanea sono suddivisi in porzioni più piccole, in modo da poterle apprendere separatamente più facilmente. Come quando devi imparare che per far partire la macchina devi girare la chiave nel cruscotto, mettere il piede sinistro sulla frizione per ingranare la marcia con la mano destra e poi rilasciare lentamente la frizione mentre spingi delicatamente sul pedale dell’acceleratore con l’altro piede.
Tali unità più piccole potrebbero poi essere combinate in blocchi più grandi una volta che l’abilità è stata sufficientemente acquisita. L’apprendimento di una nuova capacità è lenta, quindi, proprio a causa di tali limitazioni. 

Sistema implicito

I sistemi impliciti, invece, sembrano non condividere le stesse limitazioni. Infatti, esso funge da osservatore passivo durante questo periodo di apprendimento lento costruendo la propria rappresentazione dell’azione. Dopo una pratica sufficiente, il controllo neurale viene gradualmente spostato al sistema implicito che ha interiorizzato il modello di questa attività nella “memoria muscolare”. Quindi consente di realizzarlo senza fare più molto affidamento sulle regioni esplicite prefrontali. Questa interiorizzazione libera spazio computazionale della funzione esecutiva per altre attività, come l’osservazione dell’ambiente circostante, a causa di una diminuzione della domanda dalla memoria di lavoro. 
È il motivo per cui riesci a guidare e parlare con chi ti sta accanto e guardarti intorno. Molti aspetti sono stati automatizzati grazie all’apprendimento implicito e hai spazio rimanente per dirigere la tua attenzione.
Questo può essere utile per il flusso perché libera la persona dalla necessità di concentrarsi sul compito e offre più spazio della memoria di lavoro per anticipare le sfide successive.

Ciò spiega anche perché sia necessario un livello base di acquisizione di abilità per avere un’esperienza di flusso, poiché il sistema implicito richiede una serie di modelli di risposta automatizzati. 
Per questo i sistemi impliciti sono più efficienti della loro controparte esplicita. Le persone che sono entrate negli stati di flusso spesso fanno riferimento a un’elaborazione automatica in cui riportano un comportamento focalizzato sul compito ma senza pensiero cosciente. Il che suggerisce una forma di inibizione frontale (THH) necessaria per entrare con successo nello stato.

Cosa accade nel cervello durante il flusso

Si sono analizzate anche alcune prestazioni atletiche attraverso l’elettroencefalogramma (EEG), capace di misurare stati psicologici durante prestazioni motorie. Si è visto che le regioni frontali e temporali sinistre svolgono un ruolo chiave nelle prestazioni di esperti di tiro con una maggiore potenza alfa nell’EEG rispetto ai tiratori alle prime armi. L’EEG è stato utilizzato anche in altre attività tra cui il sollevamento pesi, il golf e il tiro con l’arco e tutte hanno rivelato una riduzione dell’attività dell’emisfero sinistro.
Le onde alfa sono quelle presenti, ad esempio, nello stato di rilassamento. L’aumento di tale attività nella regione temporale sinistra è stato interpretato come una riduzione delle eccitazioni corticali nell’emisfero sinistro e la possibilità di allocare più risorse ai processi visuo-spaziali del cervello destro.
Inoltre, è stata dimostrata una diminuzione della variabilità della frequenza cardiaca durante lo stato di flusso.

Si è anche notato che le prestazioni sportive migliorano quando si implementano tecniche ipnotiche. Non è ancora chiaro perché, ma pare che si passi da uno stile di pensiero analitico ad uno più olistico dopo l’ipnosi, migliorando l’accesso a processi importanti per le prestazioni atletiche. In pratica, vi sarebbero spostamenti di attività dall’emisfero sinistro (lato analitico verbale e conscio del cervello) all’emisfero destro (lato olistico, non verbale, immaginativo del cervello) durante l’ipnosi. È stato inoltre dimostrato che esistono forti correlazioni tra l’ipnosi e l’assorbimento nel compito, così come fra assorbimento e dissociazione (il primo tende ad indurre il secondo). 
L’assorbimento e la dissociazione sono considerati componenti chiave della fenomenologia del flusso.

Come facilitare il flusso

Per testare ulteriormente i meccanismi neurocognitivi degli stati di flusso sono state utilizzate tecnologie come la stimolazione transcranica a corrente continua (tDCS) per fornire una comprensione più chiara dei processi sottostanti. La tDCS è una forma non invasiva di stimolazione cerebrale che altera l’eccitabilità corticale nella zona in cui viene posizionato l’elettrodo, potendola aumentare o diminuire a comando.

L’acquisizione di nuove capacità motorie può essere migliorata grazie a questo sistema e gli effetti massimi si vedono negli esperti più che negli esecutori alle prime armi. Oltre un certo livello di competenza, la tDCS ha dimostrato di non avere un impatto significativo sulle prestazioni.

Più recentemente tDCS ha iniziato a essere implementato per esplorare il suo ruolo potenziale nel facilitare il flusso. In uno studio del 2018, Ulrich et al. hanno ottenuto punteggi di flow più elevati stimolando con la tDCS persone che avevano sperimentato un basso flusso durante un compito aritmetico. Una ricerca con tDCS di Gold & Ciorciari ha esplorato la stimolazione su videogiocatori esperti e alle prime armi. L’impostazione del tDCS si è concentrata su una stimolazione eccitatoria frontale parietale destra e inibitoria sinistra che mostrava di indurre lo stato di flusso. Quindi, la tDCS può potenzialmente migliorare il livello di abilità delle persone in modo che il partecipante possa raggiungere l’equilibrio abilità-sfida  che consente un maggiore movimento negli stati di flusso.

Conclusioni

Questa raccolta di risultati dalla letteratura scientifica evidenzia che tipo di elementi nell’ambiente di una persona devono essere presi in considerazione per aiutare a facilitare il flusso. Spiega anche come sia importante permettere un trasferimento di competenze dai sistemi di conoscenza esplicita ai sistemi procedurali impliciti. 

Inoltre, mostra come nell’induzione di stati di flusso sembri esservi una riduzione dell’attività frontale sinistra (con aumento di onde alfa) e una maggiore allocazione di risorse neuronali ai processi visuo-spaziali dell’emisfero destro, con conseguente aumento dei livelli di prestazione. 

In sintesi, questo stato è un conseguenza di un adeguato equilibrio fra il compito da svolgere e la nostra abilità nel farlo. Allo stesso tempo, richiede una competenza sufficiente da permettere di avere automatizzato diverse risposte. In tal modo, non obbliga la nostra coscienza ad investire troppe risorse attenzionali sull’attività, permettendo uno spostamento dall’elaborazione attenta e cosciente dell’emisfero sinistro ad una più visuo-spaziale e globale dell’emisfero destro.

E ora che sai proprio tutto sullo stato di flusso…sei pronto ad entrarvi? 😉


[1] Rheinberg F. Intrinsic motivation and flow-experience. In: Heckhausen H., Heckhausen J., editors. Motivation and Action. Prima edizione Cambridge University Press; Cambridge, UK: 2008. pp. 323–348

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