
Avete un progetto innovativo, avete già individuato i cambiamenti necessari, siete pronti a partire e date per scontato che, avendo già tutto ben pianificato, ogni cosa scorrerà bene? Se così è, forse non avete valutato accuratamente la parte umana del processo: le persone e le loro resistenze al cambiamento. Il fatto che l’idea sia bellissima, possa portare vantaggi e guadagni non implica di per sé che tutti seguiranno automaticamente l’iter senza intoppi. Come si diceva nell’articolo precedente, l’opposizione alle modifiche dello status quo è una delle principali difficoltà di chi vuole innovare e riorganizzare.
Precarietà e resistenze al cambiamento
Se guardiamo all’epoca attuale, una delle principali paure ha a che fare con il senso di precarietà delle persone sul luogo di lavoro; negli ultimi decenni nessuno crede più alla sicurezza del posto fisso e ogni mutamento che viene inserito può far sorgere il timore di rivoluzioni di organico o, anche semplicemente, modifiche di gestione quotidiana che si teme di non riuscire ad apprendere, mettendo così a rischio il proprio ruolo e posto.
Quanto più a lungo si è dentro un’organizzazione ed abituati a mansioni e ruoli definiti e costanti, quanto più la resistenza al cambiamento può essere forte. A questo si aggiunga la naturale tendenza delle persone ad attuare una percezione selettiva che porta a vedere solo ciò che si vuole, selezionando quindi le informazioni che confermano la propria visione e ignorando quelle che la contraddicono. Le resistenze al cambiamento non sempre sono attuate in modo consapevole e possono riguardare non solo l’individuo, ma anche un intero gruppo.
I gruppi e gli individui
Da Lewin ci arriva la lezione che il gruppo sia un’entità a sé stante, diversa dalla semplice somma delle parti. Essa ha proprie regole, valori, obiettivi, comportamenti e ha la naturale tendenza al mantenimento dell’omeostasi e dell’opposizione al cambiamento interpretato come minaccia.
Gli psicologi clinici questo lo vedono spesso quando nella terapia individuale il paziente inizia a cambiare e a stare meglio e il sistema (patologico) in cui è inserito inizia ad opporre strenue resistenze. Se il sistema, invece, ha risorse per modificarsi, a volte è il cambiamento del singolo che inizia ad innescare una reazione positiva a catena (solitamente dopo qualche prima difficoltà e riluttanza).
Non è solo il timore di cambiare regole e procedure che danno sicurezza ad ostacolare l’innovazione; talvolta anche la paura che il cambiamento porti con sé modifiche nella struttura del potere. Chi risulterebbe (o pensa di risultare) perdente e deprivato, ostacola i cambiamenti.
Resistenze al cambiamento attive e passive
Le resistenze possono essere sia di tipo attivo che passivo. Le prime sono comportamenti attivi diretti ad impedire il cambiamento. Le seconde sono comportamenti che portano passivamente a ritardare il processo di innovazione; utilizzate solitamente quando la persona percepisce di avere meno potere della controparte o ritiene di essere danneggiata ma non ha la forza/il coraggio di opporsi attivamente.
Furnham[1] elenca sette reazioni possibili su un continuum che va dall’estremo negativo a quello positivo:
· Abbandono dell’organizzazione
· Resistenza attiva
· Opposizione passiva
· Acquiescenza
· Consenso passivo
· Consenso negoziale
· Supporto attivo
I sabotatori
Un discorso a parte, all’interno di questo contesto, meritano gli “oppositivi” o “sabotatori” che, indipendentemente da qualsiasi considerazione anche positiva sul cambiamento, tendono ad opporvisi a prescindere, ponendosi in contrasto rispetto a qualsiasi novità.
Sono abili nel trovare molte ragioni per cui la situazione attuale non va cambiata, per sostenere che non vi è urgenza o che sia necessario avere ulteriori informazioni prima di agire col solo scopo di bloccare il cambiamento, perché appena ricevuti i nuovi dati, ne richiedono altri ancora. Il loro impatto sull’organizzazione è distruttivo, anche se spesso si tende a sottovalutarne gli effetti.
Non sono da confondere con gli scettici, che possono anche opporsi al cambiamento, basandosi su dati che non li convincono; tuttavia non attuano un’opposizione a prescindere e possono venire convinti con argomentazioni solide. Gli oppositivi spesso, invece, non effettuano una resistenza attiva, né screditano apertamente l’idea di innovazione o chi la propone, ma rimangono in attesa di un qualsiasi appiglio per opporsi in modo sottile al cambiamento.
Come sabotare i sabotatori
Il ragionamento logico purtroppo non ha effetti su queste persone perché l’opposizione stessa non è su un piano razionale, a differenza degli scettici; loro semplicemente sabotano la discussione con lo scopo di ritardare l’azione. L’obiettivo principale è sabotare – persino se stessi che potrebbero avere dei miglioramenti dalla situazione – per sabotare. E’ chiaro che il piano su cui si muovono è irrazionale e si basa su paure profonde del cambiamento e su aggressività e rabbia inconscia indipendente dalla singola situazione. Anche isolarli o ignorarli spesso non funziona: cercheranno di portarsi dalla propria parte i più scettici e ansiosi, creandogli incertezze e scatenando una vera e propria guerra interna all’organizzazione, facendo così perdere energie e risorse preziose per il cambiamento a favore del tentativo di riportare ordine e pace.
Kotter propone invece tre soluzioni:
· Batterli sul loro terreno alimentando un fuoco contrario di pari forza
· Metterli fuori dall’organizzazione
· Smascherare il loro comportamento, in modo che siano loro stessi a ridimensionarsi o annullarsi
E’ evidente che nessuno di queste tre azioni sarà indolore e inciderà comunque sull’umore, le energie e le risorse che sarebbero dovute andare interamente a favore dell’innovazione. L’ultima opzione, poi, è particolarmente complessa, nel senso che, anche qualora smascherati, difficilmente si ridimensionano senza prima creare sommovimenti interni.
Come risolvere le resistenze?
Anche se non si incappa in questi casi estremi, come si diceva il cambiamento creerà necessariamente delle opposizioni. Cosa può fare, allora, la differenza?
Ne parleremo nel prossimo articolo. Quindi, stay tuned 😉
[1] Roberto Lenzi, Innovazione organizzativa in tempo di crisi, 2012, Guerini e associati, Milano.
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