Intelligenza emotiva: le competenze personali

Aspetti psicologici, Intelligenza emotiva | 0 commenti

Nell’articolo precedente abbiamo visto l’importanza fondamentale dell’intelligenza emotiva ai fini dell’eccellenza sul lavoro. Le competenze personali e sociali che la compongono, insomma, non sono utili solo per creare buone relazioni nella propria vita privata, ma risultano essenziali anche per avere successo nel proprio ruolo professionale.

Adesso, entriamo più nel dettaglio delle diverse abilità che sono rappresentate nell’intelligenza emotiva.
Inizierò ad introdurre le qualità più specifiche della competenza personale.

Voglio chiarire che tutte le abilità che sono state rappresentate nello schema sono importanti per il successo nel lavoro e, quindi, anche e soprattutto nell’ambito dell’innovazione. Settore in cui non contano solo le capacità cognitive per produrre qualcosa di nuovo, ma in grandissima parte influiscono competenze emotive che permettano di portare avanti con tenacia e costanza il progetto, creare il giusto network, mantenere il controllo sotto stress e così via. Tuttavia, alcune di queste qualità sembrano più strettamente correlate al tema innovazione e ne parleremo a parte.

Nella figura seguente riepilogo, invece, la suddivisione delle competenze personali:

Competenze personali dell'intelligenza emotiva
Figura liberamente tratta dalla suddivisione descritta nel libro “Lavorare con intelligenza emotiva” di Daniel Goleman

Consapevolezza di sé

La consapevolezza di sé sembrerebbe essere una capacità prettamente razionale. In realtà, è un sapiente equilibrio nel rapporto fra i nostri centri corticali superiori (“la materia grigia”) e quelli deputati alle nostre sensazioni viscerali. Questi ultimi hanno un’origine più antica della neocorteccia (dove risiede il pensiero logico) ed è in quei centri remoti, in un nucleo a forma di mandorla, l’amigdala, che nascono impressioni, sensazioni e presentimenti. L’amigdala proietta ai centri esecutivi del cervello situati nei lobi prefrontali.

Le sensazioni viscerali

Ogni esperienza nei confronti della quale abbiamo una reazione emotiva viene codificata lì ed è da quel punto che ci vengono inviate informazioni legate ad aspetti emotivi. Ad esempio, quando ordiniamo un piatto piuttosto che un altro perché lo preferiamo o quando abbiamo l’impulso a fare qualcosa, è quella mandorla al centro del cervello che ci ha mandato un messaggio. Essendo poi collegata con le vie nervose dirette agli organi interni, essa influenza anche aspetti somatici dipendenti dalle emozioni. Non a caso si parla di «sensazione viscerale».
In certi momenti, infatti, la mente non fa un’analisi pesando tutti i pro e contro, ma si avvale di precedenti esperienze e del loro aspetto affettivo, immagazzinato nell’amigdala, per fornirci una risposta sotto forma di presentimento.

Amigdala e decisioni

Ignorare questi messaggi interiori non è sinonimo di intelligenza, anzi. A volte può essere molto rischioso perché possono contenere informazioni importanti rispetto a ciò che ci piace, in cui crediamo, ai nostri valori. La cosa giusta sarebbe iniziare a prendere consapevolezza di queste, interrogarsi e calibrare adeguatamente tali aspetti con i centri corticali superiori (dove “calibrare” non sta per “inibire”!). Di fatto, si tratta di utilizzare nel processo decisionale anche le informazioni provenienti da tale centro, le nostre percezioni intime su ciò che è giusto o sbagliato, aggiustandolo con informazioni più neutre e razionali. Per fare ciò, però, bisogna sapersi ascoltare e conoscersi molto bene.

Tale sistema, infatti, se ben usato, è tutt’altro che inadeguato per la presa di decisioni. In uno studio, si mostrò come una valutazione fatta su frammenti di videoregistrazioni della durata di 30 secondi, nei quali erano ripresi alcuni insegnanti che tenevano una lezione, fosse accurata all’80% nel cogliere il livello di esperienza dell’insegnante.

Questi centri cerebrali, pur antichissimi, sono così raffinati probabilmente perché servivano a segnalarci il pericolo in un periodo della storia dell’umanità in cui questo poteva essere ben più immediato e grave di quanto non siano oggi le nostre esperienze quotidiane (animali feroci, nemici da combattere fisicamente, ecc.).

La capacità di percepire i messaggi provenienti dal nostro database interno di memorie emotive è alla base della consapevolezza di sé. La quale si dirama in tre competenze:

  • Consapevolezza emotiva: il riconoscimento delle proprie emozioni e della loro influenza su prestazioni e presa di decisioni.
  • Autovalutazione accurata: conoscenza dei propri limiti e dei propri punti di forza
  • Fiducia in se stessi: il coraggio dato dalla sicurezza nelle proprie capacità, nei propri valori e obiettivi.

Vediamole più in dettaglio.

Consapevolezza emotiva

Caratteristiche: la persona sa quali emozioni sta provando e perché; coglie il legame fra i propri sentimenti e i propri pensieri, parole e azioni. Capisce come i sentimenti influenzino le proprie prestazioni. È consapevole dei propri valori ed obiettivi, dai quali si lascia guidare.

Se ci manca la consapevolezza di come le nostre emozioni influenzino le nostre azioni, rischiamo di andare fuori controllo, di avere una caduta di motivazione, di non sintonizzarci con le persone intorno a noi. È quindi essenziale per una buona riuscita nella vita e nel lavoro, soprattutto quando ci troviamo in situazioni delicate.

Non si tratta solo di ascoltare e riconoscere i nostri segnali interni e come influiscano su ciò che facciamo, ma anche di come impattino le persone intorno a noi.

Come raggiungere la consapevolezza emotiva

Nella nostra quotidianità è sempre presente un flusso di sentimenti di fondo che scorre in continuazione. Sotto la pressione dei ritmi incalzanti e delle incombenze, ci si concentra soprattutto sulle cose da fare e si perde di vista questo torrente sotterraneo. Per sintonizzarci con esso, occorre prendersi di quando in quando una pausa mentale per riuscire ad ascoltarci invece che arrivare a sentire i nostri sentimenti solo quando esplodono.

Diciamo che la nostra voce interiore ha un tono più basso e tende a venire sommersa dal frastuono della vita moderna in cui rimbombano i doveri.
Ma questo escludere una parte importante di noi ha dei riflessi profondi. Chi non ascolta i messaggi emotivi, costringe il corpo ad inviarne di altro tipo, non ignorabili: mal di testa cronici, dolori muscolari, attacchi d’ansia, ecc.

Tutte le attività che ci aiutano a prestare attenzione al nostro stato interiore, a focalizzarci su esso invece che a distrarci con la vita esterna, ci permette di diventare più consapevoli e di gestire meglio i nostri stati d’animo. 
In caso contrario, ci si allontana lentamente dai propri valori-guida, che ci indicano ciò che per noi ha veramente importanza.
Se siamo sintonizzati, possiamo valutare con precisione se le nostre azioni siano coerenti con essi.

Ascoltare la voce interiore

Quando agiamo in armonia con la nostra guida interiore, siamo stimolati a proseguire e massimizziamo l’uso della nostra energia. Conoscere ciò che ci dà più motivazione e forza, ci permette di concentrarci su obiettivi che ci stimolano.
In caso contrario, proveremo una sensazione di disagio che può creare inconsciamente una resistenza che sabota i nostri sforzi.

D’altra parte non è un mistero che le persone che lavorano non solo per denaro o necessità, ma che trovano nel loro impiego uno scopo o passione, operano con molto più piacere ed efficacia.
Chi, invece, non riesce a ritrovare questo scopo sul lavoro, ha un rischio più elevato per la propria salute (oltre che sul proprio benessere mentale).

Autovalutazione accurata

Caratteristiche: la persona è consapevole dei propri punti di forza e debolezza, è capace di imparare dall’esperienza. È aperta a un apprendimento e miglioramento continuo.

Non è facile riconoscere obiettivamente i propri limiti, ma se non lo si fa si mette a rischio la propria vita privata e lavorativa. La differenza fra chi ha successo e chi fallisce non è nella presenza o assenza di difetti, ma nell’incapacità di riconoscerli e cercare di migliorarsi, usandoli come fonte di apprendimento. Non accettare i propri limiti significa non poterli modificare, accedendo ad un livello superiore.

Non riconoscere gli errori…è un grosso errore!

Spesso il problema si nasconde nel pensare che ammettere errori rappresenti un segno di debolezza.
Tutti abbiamo la tendenza a giustificarci e, spesso, chi ci sta intorno collude con la nostra negazione, soprattutto se occupiamo un posto alto nella gerarchia lavorativa (o di potere in una relazione).
Purtroppo, è proprio quando siamo ai vertici che l’ignorare i nostri difetti fa più danni, non solo sulla singola persona, ma anche a livello di gruppo.

In una ricerca su alcuni dirigenti, i punti deboli risultati più comuni (e disastrosi come effetti) erano ambizione cieca, obiettivi poco realistici, pressione su di sé e sugli altri, sete di potere personale, sfruttamento altrui, enorme bisogno di riconoscimento, preoccupazione per la propria immagine pubblica, che deve apparire perfetta.

Per potere modificare queste tendenze rischiose per sé e per gli altri, è essenziale  prima di tutto acquisire la consapevolezza di come certe abitudini ci danneggino e avvelenino le nostre relazioni interpersonali.
Come migliorare?
I soggetti veramente capaci di prestazioni superiori cercano attivamente il feedback e lo valutano prezioso. In questo modo, possono lavorare sui propri limiti e migliorare in continuazione.

Fiducia in se stessi

Caratteristiche: la persona è sicura di sé, sa esporre le proprie idee anche se impopolari, ma coerenti col suo sistema di valori; è capace di prendere decisioni ferme nonostante incertezze  e pressioni.

È evidente come queste caratteristiche siano essenziali per dare prestazioni eccellenti. Senza, l’individuo manca della convinzione che gli permette di raccogliere sfide difficili. La sua assenza può manifestarsi nella sensazione di essere impotenti e paralizzati dai dubbi.

Ovviamente, la fiducia in se stessi non va confusa con l’arroganza, che solitamente è accompagnata da scarse capacità sociali e mancanza di sincera autovalutazione. Allo stesso tempo, essa si esprime non con l’impulsività ma con un equilibrio rispetto ai dati di realtà.

Chi ha queste caratteristiche tende ad avere molto carisma e ad ispirare fiducia.
Grazie a questa forza interiore, riesce meglio di altri a giustificare le proprie decisioni o azioni, e a resistere alle opposizioni senza farsi turbare o essere vulnerabile alle pressioni. Tale capacità di decidere e andare avanti a dispetto di chi si oppone è manifestata senza boria, ma con tranquilla fermezza.

Fiducia e self-efficacy

Strettamente correlata alla fiducia in se stessi c’è la «self-efficacy», cioè la percezione positiva della propria efficacia e capacità di prestazione. Tale percezione non corrisponde esattamente alle reali abilità, ma è più legata alla convinzione di ciò che, con esse, siamo in grado di fare. In pratica, non basta avere solo  le qualità; bisogna anche credere in esse.

Questo fa la differenza nel momento in cui si debbano affrontare compiti difficili. Chi crede nelle proprie possibilità di prestazioni affronta felicemente l’impresa; chi ne dubita, la evita, indipendentemente dalle sue reali competenze e da quanto bene potrebbe riuscire in realtà.
Nel primo caso, le aspirazioni dell’individuo possono crescere, nel secondo, sono mortificate.

La «self-efficacy» è un fattore predittivo del successo più forte rispetto al reale livello di abilità della persona.
Naturalmente, è dipendente dal contesto. L’idea che abbiamo delle nostre capacità sul lavoro può essere ben diversa da quella in altre attività.
Avere questa qualità spinge a buttarsi di più e a insistere nonostante le difficoltà. Il che porterà necessariamente a più successi.

Una delle caratteristiche più comuni di chi non ha fiducia in se stesso è “la sindrome dell’impostore”, il terrore di sembrare incapaci. Chi ne è affetto, rinuncia facilmente alle proprie opinioni, giudizi e idee quando vengono messi in discussione. Sono spesso persone anche molto indecise.

Padronanza di sé

La padronanza di sé è la capacità di dominare i propri stati interiori, i propri impulsi e le proprie risorse. Aspetti che sono messi a rischio in situazioni particolari, cioè quando siamo sotto stress.

In questo caso, i centri emotivi del cervello possono reagire in modo tale da mettere a rischio il funzionamento di quelli esecutivi, i lobi prefrontali. Quest’ultima zona è la sede dell’attenzione e della memoria di lavoro che permette di ricordare qualsiasi informazione sia rilevante in un particolare momento. È quindi necessaria anche per le funzioni cognitive di alto livello come comprensione, interpretazione, pianificazione, attività decisionale, ragionamento e apprendimento.

Stress e paura

Quando la mente è sotto stress, il cervello va in modalità autoprotettiva, togliendo risorse alla memoria di lavoro, utili per funzioni più “nobili”, e le dirotta in zone deputate a mantenere uno stato di iperallerta, necessario per la sopravvivenza.
In questo stato di emergenza, il centro dell’attenzione sono il presente e lo stato di pericolo avvertito. È il motivo per cui, in situazioni che ci creano ansia (come parlare in pubblico) se il meccanismo si attiva oltre un certo livello, possiamo dimenticare i discorsi o paralizzarci dalla paura pensando solo e unicamente a ciò che ci spaventa.

Un sistema che si è evoluto milioni di anni fa e nei termini che allora erano utili, ma che nella società odierna risultano eccessivi e ridondanti. Considerati i potenziali pericoli che tendenzialmente affrontiamo, rischiano di creare più danni che vantaggi: emozioni che ci turbano come rimuginazioni, ansia, panico, frustrazione, rabbia.

Le emozioni che ci paralizzano

Ma in che modo le emozioni negative possono paralizzare le nostre capacità superiori? Il sistema limbico, che regola le emozioni, con protagonista principale la nota amigdala, è collegato con l’area prefrontale attraverso un circuito neurale.

Poiché l’amigdala è il database della memoria emotiva del cervello, usa queste informazioni per analizzare i dati in entrata (tutto ciò che vediamo e sentiamo), considerando se in esse vi possa essere una qualche minaccia o opportunità. Nell’antico passato, questa risposta doveva essere molto veloce, perché i pericoli potevano essere subitanei e ne andava della propria vita. Non ci si poteva tanto fermare a pensare, elaborare, riflettere.
Nell’evoluzione, quindi, questo sistema automatico, veloce, è stato privilegiato in condizioni vissute come pericolo. Per questo, quando lo stress ci prende, si attiva il circuito che dall’amigdala va a inibire le attività superiori per potere rispondere in modo più rapido ed immediato. Cosa che andava bene fra gli uomini primitivi, ma che non è più adatto per l’era moderna.

Quando l’accumulo degli stress porta ad innescare questa situazione, viviamo come sotto una sorta di “sequestro emotivo”.
L’amigdala innesca il panico nel cervello, viene liberato l’ormone noto come CRF che a sua volta porta a rilasciare i cosiddetti ormoni dello stress, primo fra tutti il cortisolo.
Questi ormoni rimangono nell’organismo per ore, e ogni stress successivo ne aumenta il livello. L’accumulo che ne deriva ci trascina facilmente nella collera o nel panico al minimo stimolo negativo.

Le alterazioni fisiche da stress

Esiste anche una serie di altre alterazioni fisiche che servono a preparare il corpo al combattimento o alla fuga (un tempo necessarie di fronte al pericolo): la frequenza cardiaca aumenta, il sangue viene dirottato dai centri cognitivi superiori ad altri più essenziali per l’attivazione dell’organismo in situazioni di emergenza. I livelli di glucosio ematico salgono, funzioni fisiologiche meno importanti vengono rallentate.

Smorzare l’intelletto ha la funzione di attivare azioni più istintive e familiari senza perdere tempo a pensare.
Per questo, sotto alti livelli di cortisolo, le persone compiono più errori, sono più distratte e faticano a memorizzare e ricordare. L’effetto dello stress, se prolungato, può essere deleterio, persino tossico. Nel lungo periodo si può arrivare addirittura ad un’atrofizzazione dell’ippocampo, un centro chiave della memoria.

Il nostro sistema d’allarme interno

In condizioni normali, invece, o sotto uno stress leggero, sopportabile e non prolungato, sono i centri superiori che controllano l’amigdala, permettendo di sviluppare una percezione più razionale e appropriata.

Ma poiché essa è il sistema d’allarme del cervello, ha il potere di prevaricare il lobo prefrontale nell’arco di una frazione di secondo per far fronte all’emergenza. I lobi prefrontali, invece, hanno reazioni più lente. Chi è più capace di gestire le proprie reazioni emotive tende a far prendere la situazione in mano ai centri inibitori prefrontali, anche se in leggero ritardo rispetto all’attivazione dell’amigdala. Chi, invece, è impulsivo, lascia andare liberamente la reazione di allarme, senza riuscire a riprendere il controllo.

Le abilità del primo gruppo di soggetti sono riferibili all’area della padronanza di sé, come l’autocontrollo sotto stress e l’abilità di adattarsi al cambiamento. Le ricerche mostrano che chi ha più autocontrollo ottiene anche mediamente risultati lavorativi migliori.
Un test molto divertente su questa capacità e sulle sue conseguenze future è il “marshmallow test”.

Tuttavia, l’autocontrollo emotivo non va applicato in modo eccessivo, non si intende il soffocamento di tutti i sentimenti e della spontaneità. Anzi, un contenimento del genere avrebbe un prezzo sia in termini fisici che mentali. Si tratta, invece, della possibilità di scegliere come esprimere i propri sentimenti e di farlo nel contesto appropriato.

La padronanza di sé è il risultato di cinque competenze emotive:

  • Autocontrollo: capacità di gestire emozioni e impulsi negativi in modo efficace.
  • Fidatezza: onestà e integrità.
  • Coscienziosità: assunzione di responsabilità nei propri compiti.
  • Adattabilità: flessibilità nel gestire il cambiamento e nel rispondere agli stimoli.
  • Innovazione: apertura a idee, approcci e informazioni nuovi.

Vediamone alcuni più in dettaglio.

Autocontrollo

Caratteristiche: la persona domina i propri impulsi e angosce e rimane imperturbabile anche nei momenti difficili. Mantiene lucidità e concentrazione anche sotto pressione.

Questa competenza non si manifesta solo con un’assenza di esplosioni emotive, ma anche nella gestione del tempo e di obiettivi: riuscire ad attenersi nel lungo termine ad un piano quotidiano che dia priorità alle attività importanti invece di farsi distrarre da mille imprevisti e tentazioni, richiede decisamente autocontrollo, soprattutto nell’epoca odierna.

Molti raggiungono questa capacità attraverso un metodo che li aiuta a scaricare tensioni e a gestire lo stress (attività sportiva, yoga, meditazione, ecc.).
La pratica regolare di un metodo di rilassamento sembra aumentare la soglia di innesco dell’amigdala, rendendola meno suscettibile alle provocazioni e permette di riprendersi più rapidamente dai suoi sequestri emotivi. Degli effetti scientificamente dimostrati della meditazione su questi aspetti, ne ho parlato anche nel mio ebook 8 strategie per sviluppare la tua mente.

Tra l’altro, la sensazione di impotenza di fronte agli stress e di non riuscire a controllarsi porta più spesso la persona, effettivamente, a non gestire i propri stati d’animo. Si innesta, quindi, un circolo vizioso.
Inoltre, i centri emotivi hanno molte connessioni nervose con il sistema cardiovascolare e l’apparato immunitario e questo spiega perché la tensione costante aumenta il rischio di malattie e attacchi cardiaci.

Interpretazione della situazione e stress

La consapevolezza dei sentimenti che proviamo è essenziale per affrontare lo stress. Che non significa negarlo, bloccare l’espressione delle nostre emozioni, perché anche questo controllo eccessivo ha effetti negativi sulla salute.
La nostra reazione dipende molto anche da come leggiamo la situazione. Chi è più resistente, tende ad interpretare le pressioni lavorative, ad esempio, come una sfida eccitante o un’opportunità di crescita e le sopporta meglio di chi le vive come una minaccia.

Esiste infatti una fondamentale differenza fra lo stress «buono» – cioè lo stimolo che ci mobilita e ci motiva – e quello «cattivo» –che ci sopraffà e ci paralizza. La differenza sta nel fatto che l’interpretazione di ciò che accade come stimolo o minaccia determina la secrezione di sostanze differenti nel nostro corpo. Nel primo caso, vengono secrete catecolamine, sostanze che ci spingono all’azione in modo produttivo, non angosciato. Se, invece, percepiamo l’emergenza, cominciamo a produrre cortisolo insieme alle catecolamine. Questa combinazione riduce la qualità della nostra attivazione cerebrale.

Fidatezza (integrità) e coscienziosità

Caratteristiche fidatezza: la persona agisce eticamente, è irreprensibile, crea un clima di fiducia, sa ammettere i propri errori e si oppone alla mancanza di etica negli altri. Assume posizioni di principio, anche se impopolari.

Caratteristiche coscienziosità: rispetta gli impegni e mantiene le promesse, è organizzata e attenta sul lavoro e si ritiene responsabile del raggiungimento dei propri obiettivi.

L’integrità di una persona determina la sua credibilità e l’essere aperti, onesti e coerenti sono caratteristiche che distinguono le persone capaci di prestazioni eccellenti in ogni tipo di lavoro.
D’altra parte, questi sono aspetti di individui che tutti vorremmo avere a fianco nell’operatività quotidiana.

La coscienziosità, negli studi sulle prestazioni lavorative, è una competenza che fa prevedere una  straordinaria efficacia praticamente in tutte le mansioni. Questa caratteristica sembra quasi aumentare la valutazione delle capacità degli individui che ce l’hanno, perché le fa sembrare ancora migliori di quanto non siano.
Il tutto, però, va accompagnato a empatia e abilità sociali; la coscienziosità da sola può, infatti, diventare un problema perché queste persone tendono a pretendere molto da se stesse e usano lo stesso metro per gli altri, rischiando di diventare troppo critiche o rigide.

Competenze personali e innovazione

Come dicevo, ciascuna di queste abilità è connessa al successo sul lavoro. Quindi, inevitabilmente, sono fondamentali anche per chi si occupa di innovazione. Ma alcune caratteristiche vi sono più strettamente legate e, per questo, preferisco trattarle in un articolo a parte.

Adattabilità, innovazione, spinta alla realizzazione, impegno, iniziativa, ottimismo: è evidente che questi aspetti sono fortemente necessari per chi vuole dare vita a qualcosa di nuovo ed originale: startup, imprenditori, professionisti che vogliono seguire sfide innovative. Ma anche per chiunque, nella propria vita personale, voglia fare cambiamenti importanti, introdurre differenti abitudini e pratiche che possano aiutarlo a cambiare direzione in modo positivo.

Di queste parleremo la prossima volta. Stay tuned 😉

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