
In un articolo precedente, abbiamo visto come si articolano le prime competenze personali dell’intelligenza emotiva. Ora terminiamo l’ultima parte di queste abilità occupandoci di quelle più strettamente correlate all’ambito dell’innovazione. Anche se, come già detto, sono tutte importanti per riuscire bene nel lavoro e, di conseguenza, ancora di più in un suo ambito delicato quale la capacità di dare vita al nuovo.
Avevamo lasciato a metà le competenze della padronanza di sé. Di questa, fanno parte anche l’adattabilità e l’innovazione, come si vede nello schema qui sotto.

La prima è un’abilità cruciale per chi vuole creare prodotti o servizi originali, ancora di più in un’epoca come la nostra. Oggi, infatti, i cambiamenti sono veloci e, talvolta, anche difficilmente immaginabili fino a poco tempo prima (pensiamo solo agli effetti della pandemia e agli stravolgimenti che ha portato). La seconda è proprio il tema di cui ci occupiamo in questo blog; Goleman la vede parte integrante delle competenze emotive.
Adattabilità
Caratteristiche adattabilità: la persona gestisce senza difficoltà molteplici richieste e rapidi cambiamenti, sa adattare le proprie risposte alle circostanze in mutazione, interpreta gli eventi in modo flessibile.
Come già detto, viviamo in tempi in cui flessibilità, capacità di adattamento e creatività sono doti assolutamente necessarie e che possono fare la differenza fra sopravvivere e prosperare o affondare.
Questo vale per il singolo individuo come per l’azienda nel suo insieme.
Nell’affrontare situazioni di grandi mutamenti e assunzioni di rischi, le abilità emotive messe in campo, soprattutto a livello manageriale, possono fare la vera differenza. La strategia vincente è essere duttili e accogliere informazioni nuove, anche se sgradevoli, reagendo prontamente.
Se non ce la si fa, invece, prende il sopravvento l’inerzia e si è incapaci di leggere i segnali dell’imminente cambiamento. O, pur scorgendoli, prevale la titubanza ad agire e a prendere decisioni difficili.
Negare la situazione, temere le trasformazioni, avere difficoltà a mettere in discussione assunti fondamentali, strategie e identità aziendale sono la chiave dell’insuccesso. Chi manca della capacità di adattarsi è dominato da paura, ansia e demotivazione.
Chi è flessibile, invece, sa gestire l’ansia del nuovo e trova stimolanti il cambiamento e l’innovazione. È aperto a cogliere e accettare informazioni diverse, rinunciando a vecchi assunti e tattiche per adottare differenti modi di operare.
È la differenza che abbiamo visto la volta scorsa sull’interpretazione dello stress (paura o stimolo) che determina reazioni diverse nel nostro corpo (e quindi emozioni e sensazioni conseguenti).
Per l’innovatore queste tensioni associate all’ignoto sono attivatrici e lo stimolano a sperimentare.
La capacità di adattamento comporta l’abilità di sentirsi a proprio agio nelle situazioni ambigue e di restare calmi di fronte a svolte impreviste. A cui si aggiunge la fiducia in se stessi e nelle proprie risorse, come nella capacità di trovare soluzioni nuove e più adatte.
Innovazione
Caratteristiche innovazione: la persona ricerca nuove idee attingendo da fonti diverse, considera soluzioni differenti. Assume prospettive originali e corre rischi.
Le caratteristiche precedenti si uniscono alla competenza all’innovazione. L’innovatore è colui che, invece che esserne spaventato, trae piacere dall’originalità.
Chi possiede tale capacità sa identificare rapidamente i problemi chiave e semplificare questioni complesse per giungere agli aspetti essenziali. Infine, riesce a trovare connessioni originali che altri non vedono.
Chi non è incline all’innovazione, invece, non riesce a leggere il quadro generale, si perde nell’analisi dei dettagli, teme il rischio e il dovere modificare schemi noti. Questa paura spesso lo porta a reagire con critiche e negazioni del cambiamento e dei problemi in atto.
Anche in tempi meno difficili, dove le grandi aziende prosperavano ripetendo schemi conosciuti, nel campo delle nuove imprese, di startup o nelle attività creative, essere troppo controllati e poco aperti al nuovo era comunque un fattore predittivo del fallimento.
L’equilibrio fra intelletto ed emozioni
L’atto dell’innovazione rappresenta un sapiente equilibrio fra mondo cognitivo ed emotivo. Avere un’intuizione creativa è un atto cognitivo; ma per portarla a termine, prima comprendendone il valore, poi alimentandola e perseguendola fino alla sua realizzazione, sono richieste competenze emotive. Bisogna infatti essere dotati di sicurezza in se stessi, iniziativa, costanza e capacità di persuasione. Essendo tutto il processo ricco, poi, di incognite, problemi, cambiamenti improvvisi, è necessario anche il possesso di flessibilità e controllo delle proprie emozioni.
Nelle startup, nelle nuove imprese e progetti è facile, infatti, essere come su una sorta di ottovolante emotivo, passando facilmente dall’entusiasmo alla sfiducia, dalla demoralizzazione all’esaltazione, ecc.
L’atto creativo
Ma come si realizza un atto creativo? Il matematico Jules-Henri Poincaré, nel diciannovesimo secolo, propose un modello suddiviso in quattro stadi fondamentali, che possiamo ritenere valido ancora oggi, nel suo insieme.
Il primo stadio è quello della preparazione – ci si immerge nel problema e si raccolgono molti dati e informazioni. Solitamente, questo primo momento porta ad una impasse in cui si percepiscono molte possibilità ma nessuna vera intuizione definitiva.
Arriva poi la fase dell’incubazione, in cui informazioni e possibilità fermentano in un angolo della mente con cui essa gioca attraverso sogni a occhi aperti, libere associazioni, brainstorming e nuove idee.
Se siamo fortunati, arriviamo ad un terzo step, quello dell’illuminazione, cioè quell’intuizione che rappresenta un vero passo avanti. Ma perché l’idea non rimanga sulla carta, è necessario passare all’esecuzione, traducendola in azione. E qui entra in campo la capacità di assumersi responsabilità e resistere alle critiche e agli insuccessi che insorgono, perseverando e modificando gli elementi del problema fino a quando il progetto diventa realtà.
Per approfondire questo tema, leggi anche una delle sette leggi che governano l’innovazione, cioè “l’intuizione lenta”.
La dimensione collettiva
La complessità del mondo odierno, fra l’altro, richiede uno spostamento da una dimensione individualista a una dimensione collettiva. L’idea dell’inventore isolato che fa tutto da solo – se già era difficilmente applicabile precedentemente – ora diventa una pura chimera. Oggi è necessaria, ancora più di prima e in dosi più elevate, intelligenza emotiva per confrontarti con tutti, raccogliere idee rilevanti, capendo a chi rivolgerti, creare collaborazioni che porteranno quelle idee alla realizzazione.
Sono poi fondamentali altre qualità per creare innovazione. Innanzitutto, non basta avere buone idee, ma bisogna anche sapere scegliere, fra esse, quella su cui puntare. E, ancora prima, riuscire a superare quel clima di indifferenza – se non di aperta ostilità – al nuovo che si ritrova in alcuni ambienti.
I 4 killer della creatività
Teresa Amabile, una psicologa della Harvard Business School, ha identificato quattro «killer della creatività», che stroncano originalità e capacità di correre dei rischi e che sono spesso presenti nelle aziende:
- Sorveglianza: un atteggiamento di costante controllo che soffoca la sensazione di libertà necessaria al pensiero creativo;
- Valutazione: un atteggiamento critico che compare troppo presto o che è troppo intenso. Naturalmente le idee vanno anche giudicate, ma la differenza sta nella critica costruttiva versus quella distruttiva. La seconda è controproducente perché porta a preoccuparsi troppo del giudizio altrui;
- Controllo eccessivo: la gestione di ogni singolo passo fa nascere un senso di costrizione che scoraggia ogni forma di originalità;
- Scadenze implacabili: un programma troppo richiedente che porta stress negativo. Se le tempistiche e le richieste sono eccessive, non rimane il tempo di focalizzarsi veramente su idee nuove.
È quindi necessario, per quelle organizzazioni che vogliano portare ventate d’innovazione, focalizzarsi meno sulle singole formalità, creare ruoli non troppo rigidi e più flessibili, dare autonomia ai dipendenti, incoraggiare un flusso di informazione aperto e squadre miste multidisciplinari.
Se vuoi saperne di più, guarda i miei consigli per creare una cultura dell’innovazione.
La nascita dell’idea è un momento diverso dalla sua implementazione, tanto che in azienda, solitamente, chi ha l’intuizione e chi la difende sono solitamente persone diverse. Nel primo caso, è necessaria inventiva, capacità di lavoro astratto, pensiero orizzontale. Nel secondo, sono maggiormente necessarie doti di persuasione e consapevolezza politica.
Se l’impresa vuole innovare, deve sapere sostenere tutte queste capacità e chi le possiede.
Motivazione
Quando si trova il proprio lavoro stimolante, si è capaci delle migliori prestazioni. La chiave non sta tanto nel compito in se stesso quanto piuttosto nello speciale stato della mente che si prova: una condizione chiamata «flusso», che spinge le persone a svolgere il proprio lavoro al meglio.
Il flusso
Il flusso nasce quando le nostre capacità sono impegnate appieno, la mente è totalmente assorbita fino a perderci nel nostro lavoro. In questa situazione, sprofondiamo in una concentrazione così totale da sentirci «fuori del tempo». In tale stato – che è piacevole in sé e per sé – sembriamo gestire ogni cosa senza sforzo.
Il flusso è il fattore incentivante per eccellenza. Ciò che amiamo fare è tale perché ci porta in questo stato particolare dove la motivazione è intrinseca: l’attività è un piacere di per se stessa.
Naturalmente, anche altri aiuti possono avere un valore sul nostro rendimento (promozioni, retribuzione base, ecc.). Ma i fattori stimolanti più potenti sono quelli interni, non quelli esterni.
I primi tendono a garantire (non sempre, a dire il vero) delle prestazioni normali, ma i risultati superiori si ottengono solo quando la gente ama quello che fa e ne trae godimento.
Il paradosso del flusso
Il flusso rappresenta un paradosso neurale: nonostante ci mostriamo assorbiti in qualcosa di straordinariamente impegnativo, il nostro cervello opera a un livello di attività minimo. Perché?
Sembra che, in stato di noia o ansia, l’attività del cervello sia diffusa; c’è molta attività, ma scarsamente concentrata. I neuroni, infatti, scaricano in modo generalizzato e, pertanto, irrilevante ai fini del compito in corso. Nello stato di flusso, invece, il cervello è molto più efficiente e preciso. C’è quindi meno attività corticale, ma più focalizzata.
Quando il nostro lavoro ci piace, è più facile che proviamo questo stato rispetto ad altre situazioni. E lo percepiamo più frequentemente, persino più spesso che nel tempo libero.
Tuttavia, vi sono molte variazioni fra una persona e l’altra nello sperimentare il flusso. Gli individui con mansioni complesse e stimolanti, che godono di maggior flessibilità nel modo in cui affrontano ciascun compito, sembrano avere più probabilità di entrare in questo stato rispetto a chi svolge compiti di routine.
In coloro che riescono a dare prestazioni eccellenti, il flusso si instaura nello svolgimento di quella parte di lavoro più essenziale al raggiungimento dei loro obiettivi e della produttività, invece che in elementi non rilevanti, indipendentemente da quanto siano attraenti.
In tale condizione, le persone sono presenti pienamente sul lavoro, attente e coinvolte. E la loro prestazione diventa ottimale.
L’opposto, ossia un’assenza psicologica, la vediamo nei soggetti che vivono la propria routine in modo meccanico; sono annoiati o comunque desintonizzati. In un certo senso, è come se non fossero mentalmente presenti sul posto di lavoro.
Il flusso porta al miglioramento
Il flusso è alla base del miglioramento di sé. Prima di tutto perché si impara più facilmente quando si è pienamente coinvolti in ciò che si fa. In secondo luogo, siccome è uno stato piacevole, lo si ricerca spesso e, quanto più ci si esercita a fare qualcosa, tanto più bravi si diventa.
Al contrario, quando questo stato manca, persino se si ha successo si può percepire disagio e un senso di noia.
Quando si entra nel flusso
Per entrare nel flusso lo stato di attivazione deve essere ad un livello a metà strada fra la noia e l’agitazione eccessiva. Un’ansia moderata può essere motivante, ci spinge a muoverci. Se è inferiore, spesso ci sentiamo apatici; se esagerata, ci sentiamo sovraccarichi e stressati.
C’è una spiegazione anche fisica per questo. Quando siamo positivamente impegnati in un’impresa, il nostro cervello è “inondato” di catecolamine e altre sostanze chimiche secrete grazie al sistema adrenergico. Sono prodotti che stimolano il cervello, lo mantengono attento e focalizzato, dandogli l’energia necessaria per sostenere uno sforzo prolungato. Quando, invece, lo stress va oltre il livello ottimale (cioè da eustress diventa distress) la produzione vira verso il cortisolo. Bassi livelli di cortisolo e alti livelli di catecolamine sono la combinazione perfetta.
Motivazione e attenzione selettiva
Le nostre motivazioni influenzano il modo in cui vediamo il mondo; tutta l’attenzione è selettiva, e noi automaticamente cerchiamo quello che più ci interessa. Chi sia spinto dal bisogno di ottenere risultati, ad esempio, individua i modi per fare meglio, per essere intraprendente, per introdurre innovazioni o trovare un vantaggio competitivo.
Amigdala e motivazione
Vi ricordate quella specie di mandorla che sta nel mezzo del nostro cervello, l’amigdala? Bene, essa è sede di circuiti cerebrali che rafforzano la motivazione. Quando traiamo piacere da un’attività, lei si attiva e immagazzina una memoria e dei sentimenti e abitudini associati. Questo le permette, nel tempo, di riconoscere immediatamente ciò che davvero conta per noi, ciò che ci stimola.
L’amigdala è capace, quindi, di guidarci verso ciò che per noi è più importante, le nostre priorità. Infatti, coloro che hanno subito traumi cerebrali che danneggiano solo questa parte del cervello mostrano grossi disturbi della motivazione. Incredibilmente, pur avendo tutte le facoltà intellettive intatte, non sono in grado di distinguere fra ciò che per loro conta di più e ciò che invece è irrilevante, fra ciò che li emoziona e ciò che li lascia indifferenti. Ogni scelta, paradossalmente, potrebbe andare bene, non ci sono preferenze.
Come ricorderete, è un circuito collegato ai lobi prefrontali, che possono intervenire per smorzare gli entusiasmi, inibire gli impulsi, introducendo prudenza finché non si hanno dati per definire che qualcosa va bene.
Sono quattro le competenze motivazionali che caratterizzano gli individui che eccellono sul lavoro e presenti ad alta dosi in chi si occupa di innovazione:
- Spinta alla realizzazione: l’impulso a migliorarsi o a eccellere.
- Impegno: la capacità di fare propri gli ideali e gli obiettivi dell’organizzazione o del gruppo.
- Iniziativa e ottimismo: competenze simili che spingono a cogliere le opportunità e a superare insuccessi e ostacoli.
Spinta alla realizzazione
Caratteristiche: la persona è orientata al risultato, tende a soddisfare i propri obiettivi e i propri standard, stabilendo scopi stimolanti e assumendo rischi calcolati. Ricerca informazioni che riducano l’incertezza e prova sempre a migliorare le proprie prestazioni.
Anche in questo caso, gli studi hanno dimostrato l’importanza di questa qualità nel differenziare persone di successo da altri mediocri nello stesso lavoro. Questi individui non stimolano solo se stessi, ma pongono obiettivi interessanti anche per i propri dipendenti e sostengono le idee imprenditoriali altrui.
Essi sanno correre il rischio, ma calcolandolo attentamente, non muovendosi d’impulso. Sono persone che assumono punti di riferimento per valutare la propria prestazione; le loro decisioni sono basate su un’analisi dei costi e dei benefici che permette loro di calcolare i rischi cui vanno incontro.
La sfida a migliorarsi è un tema costante nei pensieri degli imprenditori e degli innovatori e la loro capacità di procurarsi feedback sulla propria prestazione e di stabilire obiettivi permette loro di ottenere risultati brillanti.
Al contrario, chi possiede questa dote in dosi scarse, è più apatico, poco realistico, ricerca punti di arrivo troppo facili o campati in aria. Se ad esserne sprovvisto è una persona in ruolo di comando, tende a creare un clima con scopi confusi e persone incerte sulle proprie responsabilità e compiti. Non dà feedback ai subordinati sulle loro prestazioni e su ciò che ci si aspetta da loro.
Chi ha questa competenza, ricerca continuamente e attivamente idee e informazioni nuove, pertinenti ai propri obiettivi, e feedback costanti.
Questa raccolta di informazioni su vasta scala ha la funzione di minimizzare le sorprese spiacevoli e aumentare la probabilità di trovare nuove idee ed occasioni. Essa si accompagna al bisogno di rendere le cose sempre più efficienti.
Impegno
Caratteristiche: la persona sa sacrificarsi per soddisfare un obiettivo di tutta l’organizzazione e trova uno scopo nella missione comune. Utilizza i valori del gruppo per prendere decisioni.
Chi ha questa competenza tende a far coincidere i propri obiettivi con quelli dell’organizzazione. Quando lo scopo del gruppo vibra sulle stesse frequenze dei nostri, c’è un attaccamento emotivo al raggiungimento dello scopo comune. In questa situazione, si è disposti a sacrificarsi in prima persona in termini di tempo ed energie.
Si tratta di un impegno volontario superiore a quello ottenibile con qualsiasi incentivo finanziario. È tuttavia chiaro che per essere fedeli ai valori cardine della propria organizzazione, questi devono essere reali, sentiti – e non solo di facciata – e i dipendenti devono poterli percepire chiaramente. A loro volta, questi ultimi devono avere una buona autoconsapevolezza, conoscere bene cioè i propri principi guida, per valutarne la corrispondenza con quelli dell’organizzazione.
L’impegno che l’individuo sente di mettere è, naturalmente, direttamente proporzionale a quanto ci si senta trattati con giustizia e rispetto dalla propria azienda. Quando avviene questo allineamento di valori e di rispetto, solitamente vi è un senso di orgoglio nell’appartenere all’impresa di cui si fa parte.
In caso contrario, sfiducia e disinteresse prenderanno il sopravvento. Invece che attivarsi più del dovuto per il proprio gruppo, si tenderà ad usare le risorse dell’organizzazione per il proprio vantaggio.
Iniziativa
Caratteristiche INIZIATIVA: la persona è pronta a cogliere le opportunità, persegue obiettivi che vanno oltre quelli richiesti, non si ferma di fronte alla burocrazia rigida. Sa mobilitare gli altri.
Chi ha iniziativa anticipa gli eventi, evitando i problemi prima che si presentino o è in grado di trarre vantaggio dalle opportunità prima che esse siano visibili anche agli altri. Questa visione a lungo raggio è tanto più importante, quanto più si sale nella scala gerarchica. Vedere più avanti e prima degli altri, però richiede una certa dose di coraggio, perché si sarà sottoposti a obiezioni e resistenze. Ma dà un beneficio notevole: prepararsi agli eventi invece che reagire ad essi quando accadono.
Quando ci si muove, invece, in un continuo stato di emergenza, le energie sono occupate a gestire la crisi e non possono essere impiegate ad anticipare le mosse, a costruire nuove opportunità. Si rimane indietro per la propria incapacità di pianificare e anticipare il futuro.
Chi manca d’iniziativa è convinto che i propri sforzi non cambieranno le cose, quindi non si dà da fare. E le situazioni non capiteranno, ovviamente. Sono persone che tendono a vedersi come vittime, soggetti passivi invece che padroni della propria vita. Chi è dotato di questa qualità crede, al contrario, di poter determinare il futuro con le proprie azioni. E ciò lo porta a fronteggiare in modo più efficace i momenti difficili.
Ottimismo
Caratteristiche OTTIMISMO: la persona insiste nel raggiungimento degli obiettivi nonostante ostacoli ed errori. È spinta dalla speranza di successo più che dalla paura del fallimento. Attribuisce i fallimenti a circostanze esterne, controllabili, e non li interpreta come incapacità personale.
L’iniziativa è solitamente accompagnata all’ottimismo proprio perché, per continuare a “lanciare in avanti la palla” è necessario sapere interpretare anche gli insuccessi come una parte del percorso. Considerarli, cioè, un aspetto del processo che va studiato meglio, non come una prova della propria incapacità di incidere sul destino.
Come ho già avuto modo di dire, l’errore per un innovatore è, semplicemente, un’esperienza da cui apprendere per migliorare.
L’ottimismo è anche una capacità chiave della resilienza. Non a caso, la capacità di riprendersi dagli urti della vita, ritornando al punto iniziale. E una caratteristica essenziale anche nell’ambito sportivo, dove ci si pongono obiettivi sempre più sfidanti.
Siamo così arrivati alla fine della parte delle competenze personali dell’intelligenza emotiva. Più avanti ci occuperemo anche delle abilità sociali, altra componente essenziale per avere successo (e felicità) nella vita e nel lavoro.
To be continued…
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