Gli elementi fondamentali della creatività

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La creatività è un tema immenso che racchiude in sé un’infinità di aspetti. Solo in parte conosciuti ed esplorati. Non penso quindi di elaborare un articolo esaustivo sul tema, ma mi piacerebbe tracciare almeno alcuni aspetti essenziali di quello che è la creatività, come si presenta, quando e perché.

Diciamo che è un dipinto complesso di cui voglio abbozzare solo qualche pennellata importante, per poter dare un’idea di cosa sia essenziale ricercare quando si vuole aprire la nostra mente alle potenzialità dell’immaginazione.

La difficoltà nel comprendere la creatività è che essa rappresenta un difficile – e a volte instabile – equilibrio fra intuizione, immaginazione e logica. È qualcosa che ha a che fare col mondo esterno, con un prodotto visibile, eppure nasce dall’interno. Dobbiamo ritrovare qualcosa dentro di noi ed esprimerlo in modo da estrofletterlo.

Un talento in ognuno di noi

La creatività, al contrario di quanto si pensi, non è una qualità presente solo in qualche fortunato eletto. Di questo ho già parlato come uno dei miti da sfatare. Ognuno di noi ha questa ricchezza in sé, basta conoscere la giusta via per accedervi e sapere allenare questa competenza. Che, spesso, significa anche imparare a entrare in contatto con noi stessi e la nostra parte più profonda, intuitiva, capace di cogliere i movimenti interiori per darvi una forma esteriore.

Non è un caso, infatti, se moltissime soluzioni originali siano nate in momenti inaspettati, solitamente di relax, quando la nostra mente razionale è impegnata a fare e pensare tutt’altro. In quell’istante, il nostro mondo interiore può prendere più facilmente il sopravvento.

Non si tratta, però, di qualcosa che affiora dal nulla, ma del passaggio finale di un processo che si svolge in fasi differenti.

Gli stadi della creatività

Henri Poincaré – matematico, fisico, astronomo francese dell’Ottocento – individuò quelli ancora oggi sono considerati gli stadi fondamentali del processo della risoluzione creativa di problemi. Alla base, vi sono alcuni principi.

Innanzitutto, la creatività rappresenta, per lui, la capacità di unire elementi preesistenti in combinazioni nuove e utili. Quindi, nulla si crea dal niente, ma si parte da aspetti già presenti in precedenza. Inoltre, è necessario sapere unire gli elementi giusti avendoli selezionati adeguatamente fra tutti quelli disponibili.

Ma come si fa? Sono importanti 4 aspetti: competenza, intuizione, esperienza e tenacia:

  1. competenza: per individuare gli elementi che vanno uniti bisogna conoscerli;
  2. intuizione: permette di fare una scelta funzionale tra molte opzioni disponibili, anche quando non sia possibile valutare in modo esauriente tutte le variabili in gioco;              
  3. esperienza: è ciò che permette di sviluppare l’intuizione nel saper cogliere gli aspetti giusti;
  4. tenacia: si procede per prove ed errori, in modo costante. La creatività non è l’illuminazione di un momento, ma un lungo processo di cui, spesso, risulta visibile solo una parte, quella più intuitiva, che tende a nascondere tutto il lavoro continuo svolto precedentemente.

Da questa visione deriva la formula

C = n u

In cui si mostra che la creatività è il prodotto fra qualcosa di “nuovo” e qualcosa di “utile”; entrambi gli aspetti devono essere presenti e quanto più alto è il loro valore quanto più importante sarà il valore della scoperta.

Vediamo, più nello specifico, i quattro stadi descritti da Poincaré: preparazione, incubazione, illuminazione, esecuzione.

Preparazione

Il primo stadio è la preparazione, ossia la fase in cui ci si immerge nel problema alla ricerca di qualunque informazione potenzialmente adeguata. In questo momento si lascia l’immaginazione libera di muoversi, raccogliendo spunti e dati che hanno a che fare in qualche modo, anche non da vicino, con il problema da risolvere o il tema da analizzare.

L’obiettivo è di riuscire a raccogliere quanti più elementi possibili, che successivamente potremo ricombinare fra loro in maniere nuove ed insolite.

Ovviamente, questa fase richiede molta apertura mentale e flessibilità per potere raccogliere dati senza pregiudizi. Può sembrare semplice, eppure viviamo in un mondo che ci sta abituando a pensare in modo sempre più pragmatico e rapido; quindi, tendenzialmente, ci viene più facile trovare la prima risposta plausibile disponibile che lasciare emergere un po’ alla volta aspetti da ricombinare solo successivamente.

La tendenza a cercare le risposte più ovvie e scontate per affrontare un problema, quelle a cui siamo già ricorsi in passato, viene definita «fissità funzionale» in psicologia. È la causa dell’irrigidimento sempre negli stessi schemi e soluzioni.

Daniel Goleman, che abbiamo già incontrato per i suoi studi sull’intelligenza emotiva (qui una rassegna dei miei articoli sul tema), nel suo libro “Lo spirito creativo” aggiunge a questo stadio anche quello della frustrazione. Essa emerge quando la nostra mente più razionale cerca una soluzione e non ne trova. Nella fase di preparazione si accumulano dati, si immaginano prime ipotesi ma, spesso, non si arriva a risposte soddisfacenti e questo fa scattare un senso di profonda insoddisfazione. In realtà, lo scatto in avanti nasce proprio anche da questa prima fase che ci permette, comunque, di iniziare a girovagare fra molti elementi prima di poterne fare combaciare alcuni che ci illuminano la strada. Se, appunto, fosse veloce, sarebbe poco redditizia; ci indicherebbe subito una strada, quella più ovvia e già sperimentata.

In tale visione la frustrazione non deve essere vista come dovuta a limiti personali. Dobbiamo imparare a considerare il suo lato positivo. Solo grazie ad un’accettazione di questo stadio “deludente”, al continuare a cercare nonostante la difficoltà, approdiamo a soluzioni originali. La costanza, il non gettare la spugna prima del tempo sono spesso alla base di grandi scoperte.

Incubazione

L’incubazione è uno stadio fondamentale. È il momento in cui lasciamo depositare i nostri pensieri, dopo esserci spinti al limite della nostra mente logica. Il nostro cervello ha bisogno di lasciare sedimentare tutti i dati e lavorare al di sotto della superficie. Mentre noi continuiamo ad occuparci della quotidianità, la mente sta rielaborando quanto abbiamo raccolto e mettendo a profitto la fatica della fase precedente. Il tutto, o quasi, accade sotto il livello di coscienza.  È come se il nostro inconscio non avesse affatto accantonato la ricerca di una soluzione, anche se la parte cosciente si dedica a tutt’altro.
Tanto che non è affatto inusuale che la risposta arrivi in uno stato che non è effettivamente di attenzione piena: durante un sogno, nel primo risveglio, mentre siamo particolarmente rilassati.              
Questo perché l’inconscio non si pone i limiti della coscienza: niente autocensura e libertà totale di unire le idee secondo libere associazioni, senza preoccuparsi di incongruenze e contrasti che sembrano irrisolvibili ad una mente razionale.

Ma c’è un altro punto di forza assoluto dell’inconscio in questo aspetto. Esso rappresenta il serbatoio delle nostre conoscenze pregresse, quelle che solitamente non portiamo all’attenzione vigile, essendoci un limite possibile di attenzione e analisi dei dati. Tutto il resto, rimane sotto la superficie, pronto ad essere raccolto al momento del bisogno. Oltre a questo, è anche un magazzino enorme di aspetti che non affiorano mai alla consapevolezza e rimangono nascosti anche a noi stessi.

C’è poi un ulteriore vantaggio nel lavoro dell’inconscio. Esso non utilizza i canali verbali di comunicazione, bensì un mondo ricco di immagini, sensazioni, intuizioni. Un’intelligenza non verbale e sensoriale. In questo modo, dopo una prima analisi logica, possiamo sfruttare anche la saggezza del nostro inconscio.

Spesso è nel fantasticare, sognare ad occhi aperti e far vagare la mente libera nei momenti di relax, come dicevo, che siamo più ricettivi verso le intuizioni profonde. Non vi è nulla di magico, in realtà. È solo che lasciamo il cervello nelle condizioni ideali per fare il lavoro più utile alla creatività: scontrare e combinare fra loro idee che solitamente, con la mente razionale, teniamo lontane.                 
Ancora di più nel mondo di oggi, in cui siamo sempre concentrati su qualche compito e fatichiamo ad avere momenti di riposo totale (persino…durante i momenti di riposo!), siamo focalizzati sempre su qualcosa, il girovagare libero dei pensieri diventa una rarità. E questo limita di molto le nostre facoltà creative.
Abbiamo paura di annoiarci, riempiamo ogni attimo della nostra vita. Eppure la noia è un potente motore dell’immaginazione. Più sei in grado di attutire gli stimoli esterni, più potrai entrare nel mondo interiore, ricco di spunti a cui solitamente non presti attenzione.

C’è anche una ricerca, di cui ho già scritto, che ci spiega perché questi momenti siano fecondi.

Illuminazione

Se le fasi precedenti si sono susseguite in maniera adeguata, si arriva al terzo stadio, che è quello dell’illuminazione. Ad un certo punto, dati e stimoli che si ritrovano nel nostro mondo sommerso si amalgamano secondo una modalità inedita e noi arriviamo alla soluzione come in una sorta di insight, di Eureka improvviso. Arriva spontaneamente una soluzione inaspettata e diversa da quelle trovate precedentemente, solitamente insieme ad una sensazione intensa, una forte emozione, come un nodo che si scioglie. 
Spesso capita mentre stiamo facendo tutt’altro.

È, purtroppo, anche la fase che meno dipende da te. L’unica cosa che si può fare per agevolarla è seguire bene le due precedenti.

Un altro rischio di questo stadio è, dopo avere trovato l’idea, iniziare a criticarsi, ad essere un censore dei nostri giudizi che ci spinge ad essere sempre dubbiosi della qualità delle nostre intuizioni. Magari, dopo un entusiasmo inziale, iniziamo a dirci che no, “non può funzionare”, “mi prenderanno per matto”, “è una cosa banale”. Un po’ di sana autocritica non fa mai male, l’eccesso di confidenza in se stesso è dannosa ma, come sempre, ci vorrebbe un giusto equilibrio fra questi due estremi per non rischiare di buttare via anche buone iniziative per mancanza di fiducia in se stessi. E di timore del confronto sociale.

Una nuova idea è sempre un rischio, tuttavia, “chi non risica non rosica”. Detto altrimenti: se abbiamo paura di fallire, pensiamo che, se non ci proviamo neanche, il fallimento è assicurato al 100%!

Verifica

L’idea è trovata e tutto sembra perfetto. Ma ora arriva il momento difficile: l’esecuzione e messa in pratica. Ricordiamo, infatti, che la creatività è l’insieme di novità e utilità. Perché questo secondo aspetto sia presente, è necessario trasformare il pensiero in azione.

Naturalmente, queste fasi non sono da prendersi troppo rigidamente. A volte più che un alternarsi netto fra l’una e l’altra c’è una sequenza veloce di momenti di preparazione, incubazione, illuminazione che ci porta ad uno step successivo da cui riparte la sequenza. A volte, invece, gli stadi sono lunghi e il percorso fino al passaggio finale può durare anche anni.

Creatività: una o molte?

Una domanda che può sorgere è se la creatività sia un talento (anche allenato) che si espande un po’ sui vari aspetti della nostra vita o se sia specifica per aree. In molti casi, essa viene considerata in questo secondo modo.

Infatti, Howard Gardner, lo psicologo che abbiamo già incontrato parlando di intelligenze multiple, ritiene che una persona non sia creativa in senso generale, ma in qualcosa di specifico. Considerando le persone come dotate di intelligenze di tipo diverso e, quindi, con capacità differenti in alcune aree, la conseguenza è che qualcuno può essere estremamente creativo in uno di quegli aspetti senza necessariamente esserlo in altri.

Personalmente, penso che la verità stia nel mezzo. È vero che la creatività ha alcune caratteristiche generali che la rappresentano indipendentemente dal campo in cui si applica. E, questo, va a favore del concetto di talento generale (anche se, ripeto, un talento che può essere allenato). Tuttavia, per poterla applicare, come scrivevo all’inizio, è necessaria la competenza in un certo ambito. Ora, è chiaro che se nelle mie diverse aree di vita e di intelligenza io ho capacità differenti, mi sarà più facile attivare la creatività laddove ho più conoscenze. Mi è più semplice, in quel caso, ricombinare gli elementi, trovare nove connessioni e capire che funzionano, perché ho gli strumenti per farlo.

Gli ingredienti della creatività

Secondo la psicologa Teresa Amabile, la creatività è composta da tre ingredienti fondamentali.

Il primo è l’esperienza in un’area specifica, l’expertise, la padronanza in un determinato ambito. D’altronde, è intuibile che sia difficile creare qualcosa di nuovo in un campo di cui non si conosca quasi nulla.

Il secondo ingrediente è, secondo l’autrice, «la capacità di pensare in modo creativo». Questo comporta diversi aspetti, come l’abilità a trovare soluzioni diverse, ma anche la costanza nell’affrontare un problema e l’imporsi standard di lavoro elevati. È poi necessario anche coraggio nel tentare cose mai provate prima o nel ribaltare la visione di schemi consolidati.                   

Questa qualità comprende anche la capacità di comprendere quando passare da una fase all’altra, ad esempio lasciando sedimentare il problema senza insistere, passando dalla preparazione all’incubazione. Senza tutti questi tre ingredienti, l’atto creativo non può realizzarsi.

La competenza da sola non basta, così come l’immaginazione senza applicazione non porterà lontano.

A questi tre aspetti si unisce la passione che amalgama il tutto. Si tratta di una motivazione interna a creare novità senza bisogno di una ricompensa esterna. È il creare per il piacere puro di farlo. Nessun grande innovatore o inventore ha mai realizzato nulla solo per la ricompensa esterna.              
Questo aspetto, fra l’altro, è anche quello che garantisce la costanza dell’impegno in ciò che si fa; un elemento di base necessario per avere successo. Valgono molto più tenacia e continuità rispetto a grandi idee che rimangono solo nella testa o applicate in modo discontinuo.

Questione di età?

La creatività, almeno in potenza, non dipende dall’età. È chiaro che la vecchiaia porta, tendenzialmente, ad irrigidire i propri schemi, a preferire il conosciuto all’esplorazione. Ma tutto dipende dalla persona, dal suo atteggiamento e dalle sue condizioni. Vi sono diversi casi di anziani che, magari arrivati in età da pensione, si sono permessi di portare avanti passioni ed attività che non erano riusciti ad approfondire durante la vita lavorativa.  
La possibilità di avere tempo a disposizione, unita, forse, anche alla consapevolezza di una prospettiva di vita non più lunga, può portare alcune persone ad intensificare, in realtà, i propri sforzi creativi in una direzione da sempre desiderata o appena scoperta.

Imparare dall’errore

Uno degli elementi essenziali per essere originali è la capacità di guardare il mondo con occhi diversi.
Questo significa sicuramente trovare collegamenti inediti, vedere le cose da una prospettiva differente. Ma, in questo insieme, possiamo anche inserire l’idea di analizzare l’errore e il fallimento non come una disdetta, ma come una possibilità.        
Ciò che non funziona secondo i nostri piani non va considerato come un incidente, bensì come possibile informazione utile.
Fleming scoprì la penicillina grazie ad un incidente casuale: una muffa che aveva annientato la sua coltura di batteri patogeni. Molti altri avrebbero preso l’episodio come uno degli inconvenienti che può capitare. Lui, invece, capì che la muffa del genere Penicillium notatum avrebbe potuto essere usata per combattere alcuni germi causa di gravi malattie, anche mortali.

In questo caso, l’aspetto importante è quello che è stata definita “codificazione selettiva” dallo psicologo Robert Sternberg: la capacità di separare le informazioni importanti da quelle che non lo sono. Il creativo è colui che riesce ad identificare, in mezzo a molti elementi poco importanti o inutili, quelli che possono fare la differenza. A seguire, deve avvenire quella che Sternberg chiama «combinazione selettiva», cioè la capacità di combinare le informazioni rilevanti, una volta che siano state rilevate.    
In moltissimi casi (se non sempre) l’innovazione non nasce, infatti, dal nulla, bensì dalla capacità di unire in modo diverso elementi che già erano presenti, sistematizzare dati che abbiamo a disposizione secondo una logica nuova che fa trasparire la possibilità di teorie, prodotti, servizi o usi inediti. Questo spesso accade perché si trovano legami che prima erano nascosti, accoppiamenti ed analogie fra elementi che non avevamo osservato fino a quel momento. E l’errore può essere lo stimolo che ce li fa scoprire.

Molte invenzioni importanti sono scaturite da incidenti, serendipità o veri e propri fallimenti. La paura di sbagliare, anche per questo,  è uno dei più grandi blocchi all’innovazione. Per cambiare le regole del gioco, creare qualcosa di nuovo, bisogna necessariamente rischiare.           
La cosa importante sta nel cercare di capire, di fronte ad un flop, perché è accaduto. Da un insuccesso possiamo trarre molte informazioni utili per costruire un percorso che può farci svoltare.
Il punto essenziale non è non avere paura; ma provare nonostante il timore di sbagliare.

Creatività e allegria

Forse ve ne eravate già accorti, ma umorismo e allegria possono aiutare la creatività. Perché? Le risposte sono varie. Innanzitutto,  l’allegria ci  permette di prendere le cose come un gioco. E se giochiamo, ci sentiamo più liberi di esagerare, buttare provocazioni apparentemente assurde (ma che ad uno sguardo più approfondito possono non esserlo, almeno in parte), andare oltre la razionalità. In una parola, abbattere il nostro censore interno che frequentemente ci blocca, bollando le nostre idee come “stupide”. Allo stesso modo, anche i giudici esterni, quelli sempre pronti a dire che un’iniziativa non  va bene, saranno meno severi: in fondo si sta giocando!

Dalle ricerche risulta infatti che i team più affiatati, che si divertono e ridono di più insieme sono, tendenzialmente, più creativi e produttivi. Ovviamente, come in tutte le cose, in medio stat virtus. Il divertimento non può essere caos totale, ma un giusto grado di leggerezza nell’affrontare i compiti.        

Anche altri generi di ricerche lo confermano. Se torniamo ai temi dei bias, del Sistema 1 e sistema 2, ricorderai che umorismo e buonumore sostengono il Sistema 1 a scapito del 2; in pratica, riducono l’attenzione focalizzata, la razionalità e la logica. Questo, nella prima fase della creazione, può essere utile.
Infatti, il nostro ragionamento verticale ha un grosso limite: tende a farci seguire sempre gli stessi sentieri, a renderci ciechi rispetto a possibilità alternative. In un certo senso, di fronte ad alcuni problemi difficili, sarebbe meglio essere a digiuno di alcune conoscenze o capaci di metterle da parte, altrimenti il rischio è che emerga il pensiero “ma così non si può fare!”. Invece, creatività a volte significa anche sperimentare, indagare quello che la logica ti dice che non si fa o non funziona, analizzare non tanto o solo ciò che è sconosciuto, ma anche ciò che è ovvio. Dove per ovvio si intende quello che tendiamo a dare per scontato e a vedere sempre e solo in una maniera, chiudendoci ad altri possibili usi/funzioni/possibilità.      
Tuttavia, il ragionamento razionale non va scartato. È estremamente utile, solo che va usato nella fase giusta. Ad esempio, durante valutazione ed esecuzione, è essenziale che il Sistema 2 riprenda buona parte del controllo.

Il flusso

Ho sempre e solo accennato a questo momento magico, definito “flusso” dallo psicologo ungherese Mihaly Csikszentmihalyi (prima o poi dedicherò un articolo a questo aspetto). Sinteticamente, si tratta di uno stato di coscienza particolare in cui siamo completamente immersi in ciò che facciamo e tutto funziona al meglio.
Ogni cosa si realizza facilmente, armoniosamente e senza sforzo. L’attenzione è completamente dedicata al compito, non vi è alcuna distrazione, e si altera la percezione del tempo.                  
In questo stato, le persone sono al massimo delle loro potenzialità; questo indipendentemente dall’attività in questione. Accade quando le abilità della persona si combinano perfettamente con le esigenze del momento, tanto da far scomparire ogni coscienza di sé.                
Nel flusso, infatti, la persona perde consapevolezza di se stesso e si ritrova in uno stato di completo assorbimento in quello che sta facendo.
Al contrario, quando le richieste sono eccessive rispetto alle nostre capacità, si sperimenta l’ansia. Se, invece, le nostre potenzialità sono molto al di sopra del richiesto, percepiamo la noia.

Dagli studi neurologici su individui in stato di flusso emerge che in questa condizione il cervello consuma meno energia rispetto a quando sta affrontando un problema. Questo perché, probabilmente, in questo stato le zone cerebrali più utili per il compito sono maggiormente attivate, mentre quelle irrilevanti sono in una sorta di stand-by. Differenza fra le diverse parti del cervello che non si rileva, invece, quando ci si trova in una situazione di ansia o di confusione mentale.

Lo stato di flusso è frequente fra gli artisti e gli atleti, soprattutto quelli più bravi.

Restare bambini

Nel suo studio sui geni creativi del Ventesimo secolo, Howard Gardner ha scoperto che sebbene i livelli raggiunti nel proprio campo fossero eccelsi, essi avevano mantenuto, nell’approccio al proprio lavoro, una specie di freschezza ed ingenuità infantile. Mostrando il desiderio dell’esplorazione e della curiosità per quel tipo di cose su cui, solitamente, si arrovella la mente di un bambino.  Domande che, da adulti razionali, normalmente non ci poniamo.

Conclusioni

Il mondo della creatività è eccitante ed infinito, per certi versi. Tuttavia vi sono alcune caratteristiche che ricorrono, fra le persone creative. E queste ho voluto sintetizzare per cercare di carpire, almeno un po’, il segreto delle menti innovative.
Se ti interessa, invece, conoscere cosa ci agevola non nell’ambiente interno, ma in quello circostante, ti invito a leggere i due articoli sulle leggi che governano l’innovazione, parte prima e parte seconda.

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