I bias cognitivi che ci fanno sbagliare i calcoli

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I bias cognitivi che ci fanno sbagliare i calcoli

Che gli italiani non siano mediamente degli appassionati di matematica lo sapevamo. Dopo gli anni della pandemia, poi, l’apprendimento scolastico ha visto una caduta un po’ in tutte le materie, complici lo stress della situazione, le lezioni a distanza e molti altri impedimenti. E la scienza poco amata non è stata certo un caso a parte.

Ma possiamo dire che, tranne alcune eccezioni dovute a chi ne fa materia di studio principale e di lavoro, la situazione media, non tanto di fronte ad un compito scolastico, quanto nei calcoli e valutazioni della vita di tutti i giorni, non è buona per nessuno. È la natura del nostro cervello a trarci parecchio in inganno; se non ci sostiene una preparazione specifica nelle materie STEM (e a volte neanche questa basta), il “Sistema 2” difficilmente si ferma e mette in discussione le ipotesi dell’1. Che, come abbiamo visto, spesso non sono esatte.

La legge dei piccoli numeri

Chi di voi si interessa di statistica, ha certamente già sentito parlare di “legge dei grandi numeri” o “teorema di Bernoulli”.
Nel suo “pensieri lenti e veloci”, Kahneman descrive, invece, un‘euristica alla base di un errore frequente (a volte persino negli scienziati stessi), che suona un po’ al contrario: la legge dei piccoli numeri.

Il nostro Premio Nobel fa questo esempio: immaginiamo che leggiate il risultato di uno studio che vi indica che nelle 3141 contee degli Stati Uniti emerge un dato interessante. E cioè che le zone in cui l’incidenza del cancro ai reni è più bassa sono perlopiù rurali, poco popolate e situate in Stati tradizionalmente repubblicani del Midwest, del Sud e dell’Ovest.
Cosa pensereste? Vi verrebbe da pensare, probabilmente (una volta escluso che essere di un partito o di un altro incida sulla tendenza a sviluppare tumori), che le basse percentuali di cancro siano dovute alla vita più sana delle comunità rurali.

Può avere un senso.

Il problema è che le contee in cui, invece, l’incidenza del cancro ai reni è più alta sono sempre…perlopiù rurali, poco popolate, e situate in Stati tradizionalmente repubblicani del Midwest, del Sud e dell’Ovest.

Siete finiti forse dentro una candid camera? Com’è possibile?
Kahneman ci spiega che il problema è esattamente la legge dei piccoli numeri. Il fattore che incide sui risultati, infatti, non è la vita rurale, quanto la scarsa popolosità di queste zone.
Probabilmente, anche chi ha studiato statistica si è fatto in un primo momento fregare dalla spiegazione salutista. E si è dimenticato che un campione, per dare risultati corretti, deve essere sufficientemente rappresentativo e…adeguatamente ampio. Più, invece, è piccolo, più l’incidenza dovuta al caso è ampia. E se non ne teniamo conto, facciamo errori di valutazione e calcolo.

“Sistema 1” e causalità

Il nostro “Sistema 1” ama dare un senso alle cose e adora la coerenza, ancora più della verità, ricordate? Così, preferisce identificare automaticamente e senza sforzo le connessioni causali tra eventi, indipendentemente dal fatto che la relazione esista realmente. Quindi, se sente dire che alcune contee con determinate caratteristiche hanno più malati di tumore, lui mette insieme le cose e le correla fra di loro, convinto che debba esserci una spiegazione chiara (e non una semplice casualità data dal campione troppo basso per quello che stiamo indagando). Infatti, la statistica ci spiega come risultati estremi (sia massimi sia minimi) si ottengano più facilmente in campioni piccoli rispetto a quelli grandi. Non c’è causalità, ma incide, più fortemente, la casualità.

Usare un campione sufficientemente grande è l’unico modo di ridurre il rischio che sia la casualità a determinare i risultati, più che la causalità.

Ma questo errore lo fanno solo coloro che non studiano la scienza delle probabilità? No, assolutamente. È un problema che si ritrova persino in alcuni studi scientifici e anche in calcoli di esperti. Quando anche loro cedono alla tentazione di analisi intuitive, possono cadere nel tranello teso a tutti noi poveri mortali. Anche il “Sistema 1” degli scienziati, evidentemente, non ama le complicazioni della statistica.
Tuttavia, le dimensioni del campione non sono l’unico aspetto che tendiamo ad ignorare. Sembra incredibile, ma in molti casi non facciamo caso neanche alla fonte di informazione. Il fatto che un sondaggio sia condotto su un piccolo campione ci induce in errore (che non notiamo), allo stesso modo in cui non facciamo particolare caso se la fonte sia seria e adeguata o assolutamente inaffidabile. E a giudicare dal problema sempre più pressante delle fake news, forse un po’ ce ne eravamo già accorti.

Il bias della certezza

Ma perché siamo così poco attenti?

Perché il dubbio non ci piace; non al “Sistema 1”, perlomeno.  La sua funzione è creare narrazioni coerenti, non vere. La certezza è più semplice; il dubbio ti obbliga a sforzarti molto di più. Ecco anche perché la dimensione del campione non ci interessa. Ci piace estrarre quello che sembra il senso della storia, non abbiamo voglia di verificare se il gruppo testato sia rappresentativo, sufficientemente ampio, se l’analisi sia condotta in maniera adeguata e da persone qualificate. Risparmiamo in tempo e guadagniamo in certezza. Che ci toglie parecchia fatica.

D’altra parte, il pensiero statistico si basa su una premessa esattamente contraria al senso comune. Invece che cercare quello che può dare immediatamente un significato a quanto successo o rilevato, tende a partire dall’idea opposta (l’ipotesi nulla), cioè che il risultato sia frutto della casualità. E poi vede se questa ipotesi sia confutabile.

Questa differenza del ragionamento della “persona della strada” rispetto allo statistico ci porta a fare gravi errori di valutazione in merito a quanto siano casuali o meno certi eventi. Noi cerchiamo regolarità, significati, spiegazioni e quando individuiamo quella che ci sembra una regola, respingiamo il pensiero che possa essere nata per caso. Invece, a volte è proprio così.

Ma perché non amiamo l’incertezza? Perché essa ci crea vulnerabilità. Se capiamo cause ed effetti, possiamo controllare meglio il mondo intorno ed essere più preparati ai cambiamenti. E ne abbiamo talmente bisogno, che ci convinciamo di avere capito tutto anche quando non è vero.

Insomma, seguendo le proprie intuizioni, spesso e volentieri ci si sbaglia, considerando un evento fortuito come dotato di senso e significato. E questo ci dà un’impressione di tranquillità e di controllo.

Un’ancora per la mente

Ma i nostri errori non consistono solo nel bisogno di chiarezza e nel non considerare aspetti importanti come quelli già descritti.

Nelle valutazioni che hanno a che fare con i numeri, ci facciamo trarre in inganno anche da alcuni punti di riferimento presenti nella situazione. Che a volte sono lì per caso, altre sono stati messi intenzionalmente.

Si tratta del famoso «effetto ancoraggio» che ci si para inconsapevolmente davanti in moltissime situazioni.
In pratica, quando dobbiamo assegnare un valore a una quantità ignota, partiamo da un numero che abbiamo a portata di mano (o di mente). Si tratta di uno dei fenomeni più studiati e riconosciuti della psicologia sperimentale.

la morte di gandhi

Facciamo un esempio, per chiarire, che ritroviamo anche nel libro di Kahneman. Se ti chiedono se Gandhi aveva più di centoquattordici anni quando morì, finirai per fare una stima dell’età del suo decesso ben più alta rispetto a quella che avresti fatto se il numero nella domanda (la nostra ancora) fosse stato trentacinque anni.
A meno che non sappiamo esattamente l’età della sua morte, la nostra mente troverà un numero che reputa più o meno verosimile. Tuttavia, sarà molto influenzato dalla cifra indicata nella domanda. Per cui, di fronte a due gruppi a cui si pone questa domanda, il risultato medio del primo gruppo (con ancora a 114) sarà molto più alto rispetto a quello medio del secondo gruppo (con ancora a 35).

Naturalmente, può darsi che non ti interessi molto indovinare l’età esatta del trapasso di Gandhi. E può essere anche che tu ritenga la questione poco influente nella tua vita. Ma prendiamo quest’altro esempio.

comprare casa

Magari stai cercando casa. Hai un budget a disposizione e guardi ciò che ci si avvicina. La tua convinzione sul prezzo giusto dell’immobile sarà influenzata da quello a cui è posto sul mercato, indipendentemente dal fatto che sia corretto. Forse potrà sembrarti eccessivo e allora cercherai di valutare quale sia la cifra adeguata che si dovrebbe spendere. Ma quella tua stima sarà inevitabilmente condizionata dall’ancoraggio iniziale.
A questo punto tu potresti obiettare: “Va beh, ma tanto ci pensa l’agenzia immobiliare a fare una stima accurata prima di porlo in vendita”. Ecco, appunto…vediamo se è vero.

In un esperimento a degli agenti immobiliari fu chiesto di stimare il valore di una casa realmente in vendita. Gli fu fatta visitare la casa e gli fu dato un opuscolo di informazioni comprendente il prezzo ufficiale.
Ad una metà venne dato un dépliant con un prezzo  ufficiale molto  più  alto  del prezzo  reale,  mentre all’altra  metà  fu  dato  un opuscolo con uno molto più basso.  Ciascun agente doveva poi esprimere la sua opinione su una cifra d’acquisto che riteneva ragionevole e anche il prezzo più basso a cui avrebbe accettato di venderla se ne fosse stato il proprietario.
Dopo le stime, fu chiesto loro quali fossero i fattori che li avevano influenzati nel formulare il loro giudizio. Incredibilmente, il prezzo indicato nell’opuscolo non vi rientrava ed essi erano ben fieri della loro capacità di non farsi condizionare da questo.
Peccato che, invece, l’effetto ancoraggio non solo si sentì, ma fu anche piuttosto alto ( 41 %). Non solo, il loro ancoraggio era di poco inferiore a quello di studenti di economia e commercio senza esperienza in campo immobiliare a cui fu sottoposto lo stesso test. Solo che gli universitari erano consapevoli di essersi fatti influenzare dal prezzo, gli agenti immobiliari no.

Da cosa deriva l’ancoraggio

Questo fenomeno dipende da due cause. C’è un ancoraggio che si verifica grazie al “Sistema 2” che prova ad aggiustare le cifre, partendo da quella iniziale e allontanandosi, verso l’alto o il basso, per arrivare a quella giusta. Ma rimanendo, in qualche modo, legato al punto di partenza.

Poi ce n’è un altro che è figlio del “Sistema 1” attraverso l’”effetto priming”.

L’ancoraggio come aggiustamento

Nel primo caso partiamo dal punto di riferimento e ci allontaniamo, ma non abbastanza, perché ad un certo punto non siamo più certi di doverci spostare ancora e temiamo di esagerare. Di solito, questo accomodamento è inferiore al necessario.

Una curiosità divertente è che (come fu fatto in un esperimento di Nick  Epley  e  Tom  Gilovich) se ci danno un’ancora e, contemporaneamente, ci dicono di scuotere la testa a destra e sinistra (come quando si dice NO) mentre la ascoltiamo, ci allontaniamo di più da essa rispetto al muovere la testa in su e giù (come quando annuiamo). Ma se hai letto un articolo precedente in cui ti parlo dell’effetto Florida, forse non sarai troppo stupito.

Inoltre, poiché questo tipo di aggiustamento è figlio del “Sistema 2”, richiede un po’ di sforzo e concentrazione. Per cui, la capacità con cui lo realizziamo si riduce nel momento in cui siamo stanchi, un po’ ubriachi o abbiamo la mente impegnata. Insomma, in queste condizioni restiamo più vicini all’ancora. 

L’ancoraggio derivante dal priming

Come ti dicevo, esiste anche un ancoraggio che è determinato dal priming. Questa volta ad incidere non è l’attività (insufficiente) del “Sistema 2”, ma quella (altrettanto inadeguata) del “Sistema 1”, più istintivo e condizionabile.

Infatti, anche la suggestione, di fatto, è un risultato dell’effetto priming che tende a ricercare prove compatibili con quanto ci è stato suggerito.

Tornando al quesito su Gandhi, probabilmente quasi tutti sono consapevoli che non poteva avere 114 anni alla sua morte; nonostante questo, il numero ci evoca – attraverso associazioni – un’idea di vecchiaia molto avanzata e questo ci spinge a trovare soluzioni compatibili con tale idea evocata. Per questo l’età della morte, in tale caso, sarà indicata ben più alta che nella situazione in cui la suggestione sia data da un numero molto più basso.

Quanto è forte l’ancoraggio?

L’ancoraggio si può misurare e il suo effetto è importante. E, soprattutto, non si presenta solo negli esperimenti di laboratorio, ma lo ritroviamo diffusamente nella vita reale. E spesso ne siamo vittime.

Ancoraggio e disponibilità alla spesa

Poniamo che qualcuno ti chieda di fare una donazione per una buona causa. Prima di tutto, se sei disposto a versare qualcosa, farai una sostituzione e poi un matching d’intensità per paragonare la forza del sentimento che provi per la causa con una quantità di denaro che sei disposto a cedere.
Al di là del modo in cui sei arrivato alla valutazione, comunque il risultato dovrebbe essere lo stesso in qualsiasi condizione. Cioè, dipendere da quanto credi in quella causa e quanto ti fa soffrire il problema che ne è all’origine.
Invece, un esperimento ha provato che, anche in questo caso, può essere all’opera l’ancoraggio nel farci deviare dal calcolo che riteniamo corretto.

Se, infatti, chi vi chiede la donazione vi fa la domanda: “pagheresti 5 dollari per…”, compie un incredibile errore.
Nell’esperimento in cui si esplorava quanto i partecipanti sensibili alle cause ambientali fossero disposti a versare per salvare degli uccelli marini dalle conseguenze di fuoriuscite di petrolio, le cifre devolute erano in media di 64 dollari. Che scendevano drasticamente a 20 quando la domanda veniva formulata come sopra. O aumentava incredibilmente a 143 quando l’ancora saliva fino a 400 dollari.
Altri studi hanno trovato effetti di ancoraggio simili o maggiori in situazioni differenti.

Ma, dicevamo, questo succede anche nella vita reale. Infatti, questo effetto è spesso sfruttato sia nelle offerte di vendita che nelle basi d’asta. Ad esempio, quando vedete sconti di prodotti, spesso la vostra mente è attratta da quanto risparmia rispetto al prezzo di partenza, senza chiedersi se, effettivamente, questo sia adeguato o troppo alto (diminuendo così la reale incidenza della riduzione). Si parte dal prezzo base come ancora per definire se si tratti di una buona offerta.

L’ancoraggio funziona anche quando è assolutamente casuale

Arrivati a questo punto, una buona considerazione potrebbe essere: “Ma normalmente il numero di riferimento viene considerato come una stima plausibile, quindi è normale che uno si fidi”. Prendiamo il prezzo di vendita di un immobile. Date per scontato che possa essere un po’ più alto di quello giusto, ma non sarà completamente fuori mercato. In fondo lo ha determinato un’agenzia immobiliare che saprà il fatto suo!   
In alcuni casi, questo è vero e l’ancora è informativa, cioè dà un indizio abbastanza valido. Tuttavia, le persone si fanno ingannare da questo effetto persino quando è palese che la cifra che viene loro data sia totalmente casuale e non sia in alcun modo legata al tema su cui si deve rispondere.

Infatti, l’effetto ancora si mostrò in tutto il suo splendore persino quando si usavano sistemi perfettamente casuali per trovare una cifra. Ad esempio, si usava una roulette e poi si chiedeva se il numero della nazioni africane presenti all’Onu fosse maggiore o inferiore a quel numero. Stessa cosa quando il numero veniva tratto dalle ultime cifre del codice di previdenza sociale o da altri sistemi che non erano in alcun modo informativi.
Tutti sanno che i numeri usciti da una roulette o le ultime cifre di un codice sono completamente casuali. Eppure, l’ancoraggio si rivelava anche in questi casi.
E l’effetto aveva praticamente la stessa forza di quando veniva usato con cifre che le persone potevano considerare informative.            
Fu dimostrato persino quanto l’ancora incidesse nelle decisioni di condanne dei giudici. Non esattamente rassicurante.

Sfruttamento dell’ancora

Probabilmente, non ti sarà sfuggito la potenza di questa suggestione e come potrebbe essere usata per fini commerciali. Cosa che, infatti, viene fatta 😉
Insomma, siamo molto suggestionabili e non ce ne accorgiamo.

L’uso, come avrai capito, può essere fatto per spingerti a donare di più (magari per una buona causa) o a pagare di più (in questo caso, la buona causa è solo per il percettore del tuo denaro ;-)). E, persino, a comprare di più.

L’uso nel marketing

Un’ottima idea di marketing è, ad esempio, il razionamento arbitrario. Se un supermercato ti vende il sugo di pomodoro con uno sconto del 10% e puoi prenderne una quantità illimitata, ne acquisterai meno confezioni di quando ti dice che puoi prenderne al massimo dieci. Qui sono in gioco anche altri meccanismi, oltre all’ancoraggio. C’è una sorta di riprova sociale (“se mettono un numero massimo, vuol dire che molti lo stanno acquistando, è un prodotto valido”) e anche di scarsità (le persone amano prendere qualcosa quando percepiscono che ce n’è una disponibilità limitata).

Ancoraggio e trattative

Lo stesso effetto viene ampiamente usato in quei paesi in cui mercanteggiare è un’abitudine sociale. Se hai mai visitato uno di questi posti, avrai notato quanto alto sia il prezzo di partenza che ti viene offerto. Quando compri, hai la sensazione di avere fatto un affare e di essere un grande negoziatore, avendo abbassato molto il prezzo. Salvo tornare a casa e scoprire che lo stesso oggetto avresti potuto comprarlo alla metà 😉
La mossa migliore, in questi casi, non è di ribattere una cifra a caso molto sotto alla cifra di ancoraggio, bensì di attivare il “Sistema 2”. Devi cercare argomenti razionali da opporre all’ancora. Ad esempio, concentrarti sull’offerta minima  che  la  controparte  accetterebbe  o  su  quanto  le  costerebbe  il fallimento della trattativa. Soprattutto se parliamo di una contrattazione un po’ più importante rispetto a quella di un bazar.
In pratica, obblighiamo il nostro pigro cervello razionale ad attivarsi per resistere alle suggestioni di cui è facile preda il “Sistema 1”.

Come difendersi

Ancora una volta, in considerazione di quanto scritto in questo articolo, le armi per difendersi non sono molte, ma sono buone, Bisognerebbe, però, usarle.

Per quanto gli esempi posti possano essere divertenti e sorprendenti, è evidente che gli effetti non piacciano a nessuno. Sapere di essere ingenui e manipolabili non è bello, ma l’arma ce l’abbiamo dentro di noi e dobbiamo imparare ad usarla.
Conoscere come funziona la nostra mente è il primo passo.        
Resistere, poi, alla tentazione di pensare che noi siamo diversi e che su di noi certi aspetti non fanno effetto. Infine, attivare il “Sistema 2” con attenzione non solo al modo in cui ragioniamo, ma anche ai dati su cui ci basiamo.

Poi possiamo anche decidere che non possiamo fare a meno di prendere almeno tre confezioni di quella cioccolata che sta andando a ruba e di cui c’è un limite massimo di 5 a persona. Ma, almeno, sapremo che stiamo trovando una buona giustificazione per la nostra golosità e non che abbiamo fatto un affare 😉

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